Regia di Richard Linklater vedi scheda film
Richard Linklater ricomincia da dove aveva lasciato riprendendo il filo del discorso di quel romanzo sulla gioventù americana che a parte qualche rara eccezione costituisce il filo rosso e il tema principale della sua intera filmografia. Nella fattispecie “Tutti vogliono qualcosa” sembra fatto apposta per rafforzare il legame di continuità con la produzione più recente del regista americano e in particolare di quello che l’aveva preceduto. Di quest’ultimo “Tutti vogliono qualcosa” sembra la naturale prosecuzione perché Jake, studente universitario e lanciatore dibaseball della squadra dell’università di Austin, in Texas, dove il ragazzo sta per cominciare il proprio corso di studi, potrebbe essere l’alter ego del Mason di “Boyhood” che alla soglia dei vent’anni lasciava la famiglia per proseguire la propria istruzione accademica. Lasciate da parte le beghe adolescienziali e temporaneamente allontanate le complicazioni legate alle disfunzioni del consesso familiare il nuovo film si presenta con un piglio più divertito che riflessivo, andando a pescare in quel clima dapermanent vacation che a partire da “Animal House” è diventato il cotè prediletto dei cosiddetti college movie.
Con la differenza che la goliardia, pur entrando nella storia in virtù del contagioso cameratismo che regola i rapporti tra Jake e i propri compagni di squadra, non diventa mai il fine ultimo del film e, di conseguenza, il serbatoio infinito di una serie disketch esilaranti ma fini a se stessi. Certo, in alcuni passaggi è il buon umore e il divertimento a farla da padrone ma in generale la verve dei personaggi viene utilizzata da Linklater per esprimere il vitalismo che appartiene a una fase della vita in cui ogni cosa sembra possibile e dove anche l’anelito di diventare un campione sportivo o una grande giornalista è alla portata di chiunque sia in grado di desiderarlo. Come accade nel film del regista americano il quale, per non venire meno all’originalità della sua nomea isola la vicenda dal punto di vista temporale, collocandola nei giorni che precedono l’inizio delle lezioni. L’anomalia della scelta dal punto di vista drammaturgico produce due effetti: il primo è quello di aumentare l’emotività della storia che, oltre a contare sull’effetto nostalgia derivato dalla decisione di collocare gli avvenimenti nell’agosto del 1980, vede amplificare il sentimento d’euforia che normalmente precede la vigilia del grande evento; il secondo, forse meno vistoso ma comunque forte, è dato dalla prospettiva dello spettatore il quale da una parte è immerso - grazie anche all’apporto della musica come sempre parte in causa dei film di Linklater - in un’atmosfera da sogno (non è un caso se il film si conclude con l’immagine di Jake addormentato sul banco del primo giorno di scuola) e dall’altra rimane cosciente della caducità di questo rito di passaggio che Linklater pur evocando con il conto alla rovescia che segnala il passare dei giorni lascia però fuori campo. Presente come un fantasma che aleggia sulle vite dei protagonisti, preservati ma non immuni dal destino delle cose umane. Delicatezza di sguardo e umanesimo narrativo completano le qualità di uno dei lungometraggi più belli della stagione.
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