Regia di Richard Linklater vedi scheda film
Tutti vogliono qualcosa (2016): locandina
Probabilmente non diventerà un caposaldo del genere né aggiungerà niente alla filmografia di Richard Linklater - già noto cantore, un vero "specialista" di ragioni ed istanze giovanili - eppure Tutti vogliono qualcosa (ok, perché togliere i due punti esclamativi dal titolo?) è un'elegia pop, filologicamente impeccabile, eti(li)camente rigorosa, dei college/sports/coming of age movies.
Uno spaccato vitale - non importa quanto sincero né indispensabile - di un'epoca e di un contesto - la vicenda è ambientata nel 1980 - sì attraversati da rozza spensieratezza, ingenua follia, leggerezza e moti di ribellione, ma anche molto lontani dalle paranoie e manie collettive del contemporaneo (il dominio dei social su tutti).
Il film ripercorre abilmente luoghi familiari - "case del baseball" (ovvero la casa base dei protagonisti), dormitori, locali notturni in cui ballare e rimorchiare - e tematiche/dinamiche immancabili - il classico binomio matricola/veterano, l'amicizia virile, la ricerca del divertimento, i party selvaggi, i fiumi di alcol e il fumo, il rapporto con le donne, la crescita individuale e di gruppo -; ma lo fa con spirito scevro da sovrastrutture intellettualoidi o sottotesti pretestuosi.
Insomma, il casino - ovvero la sua rappresentazione - pare risorsa di pregio, testo convincente, corpo naturale e vigoroso come un home run strafottente.
C'è del già visto, magari anche troppo; la coesione dell'insieme però (regia-messinscena-storia-dialoghi-aneddotica), grazie anche a una ricostruzione scenica-ambientale da applausi e da una palese partecipazione (dell'autore e degli interpreti in primis), rende il film un oggetto magnificamente a fuoco.
Un fuoco animato continuamente, tenuto sempre sul vivo, su toni accesi e brillanti.
Merito - e non per modo di dire - di una soundtrack strepitosa trascinante (anche qui, per chi non lo conoscesse, basta scorrere il curriculum di Linklater: a stilare una playlist so' buoni tutti, a farne una che faccia muovere le teste di un morto vivente no).
Vera forza propulsiva dell'opera - che si manifesta immediata con My Sharona che accompagna l'inizio dell'avventura, la venuta in auto del protagonista ( ... Ooh, you make my motor run, my motor run ... Never gonna stop, give it up, such a dirty mind / I always get it up, for the touch of the younger kind ...) e prosegue con, tra gli altri, brani seminali di Stiff Little Fingers, The Cars, Van Halen, Devo, Blondie, Pat Benatar) -, detta ritmi, tem(p)i, frenesie e stati di alterazione, narr(azione) e luoghi della mente in era pre-yuppies e post-seventies, rit(ual)i di passaggio e trip di massa; e sani mo(vim)enti, privi di alcun senso di colpa o "tradimento", tra disco, country, punk, rock e art-rock.
Puntuali arrivano, come raggi di sole accecanti dopo una notte di bagordi, i lunedì della nostra vita: ma non potranno mai cancellare una Rapper's Delight cantata all'unisono in macchina.
Everybody wants some!!
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Solo per la colonna sonora lo voglio vedere! ;-)
Da vedere e ascoltare!
Ecco, il tipico film in cui il "ben fatto" risulta alla fine fumo negli occhi. Non mi è piaciuto granché, frase finale da cioccolatino, una spensieratezza folle che è sempre trattenuta e in realtà per nulla folle, una musica che non diventa mai trascinante, tanti ammiccamenti. Peccato, perché mi piaceva l'idea della cronaca dei tre giorni con la falsa pista del discorso del baseball (se solo non si fosse visto mai un allenamento). Mi piace che non è nostalgico, che non si piange addosso, che non sfocia nel maledettistico o in qualche cosa melodrammatica, ma mi è sembrato di scopo troppo preciso (inquadratura storica accurata, personaggi con poche caratteristiche superficiali per farceli riconoscere, evoluzione programmatica della trama) per essere davvero un boccata di aria fresca, o se vogliamo di vita un po' vera (l'esercizio truffautiano di Boyhood e la trilogia dei Before mi sono piaciuti entrambi). Everybody want some, ma someone wants something more!!
Beh, quanto a programmaticità e (sovra)scrittura Boyhood vince facile: un fuoricampo su una palletta floscia lanciata da un infante.
Concordo sul fatto che la spensieratezza non sia apertamente "folle", e certo c'è una derivatività evidente, ma la tre-giorni inside i rozzi anni ottanta ha una carica di empatia e solidità (narrativa-estetica-scenografica-musicale-dialogica-ritmica) che conquista e trascende la sua stessa natura di prodotto medio.
Comunque, Gimme Some! direbbero i Turbonegro
https://www.youtube.com/watch?v=oH6lB4MFEXE
L'ho amato alla follia. Certo come dici tu non aggiunge niente alla filmografia del regista ma cavoli riesce in appena due ore a darti un illustrazione tipica degli anni 80. Poi vogliamo parlare dei dialoghi? In alcuni punti avevo le lacrime agli occhi.
Mi ha stupito che abbia avuto un così scarso rendimento nelle sale, eppure le caratteristiche per attrarre non dico le masse ma almeno un po' di pubblico c'erano tutte. Dopotutto non si tratta di opera d'essai o con le stimmate del "pacco" autoriale. Siamo senza speranza.
Concordo su tutto
Come dicevo anche ad altri non ho ancora visto nulla di Linklater ...prima o poi rimedierò ;) e magari inizierò proprio da questo ...sai com'è ....negli anni '80 avevo la bellezza dei vent'anni .....ed ero proprio in quel passaggio fine scuola inizio responsabilità ...si iniziava un pò prima allora :)))
Ma nemmeno School of Rock hai mai visto??! Devi rimediare (quanto prima!): lo passano spesso in tv, vedi tu ...
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