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Tutti vogliono qualcosa

Regia di Richard Linklater vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Tutti vogliono qualcosa

di alan smithee
7 stelle

L'età del college e il momento di far vedere quanto si vale. L'età del desiderio e del sentirci invincibili, nella cornice (perfetta e resa magnificamente) di un'America di inizio anni '80 in cui l'azzardo e l'imprudenza suggerivano la strada per l'ottenimento della realizzazione personale. Un buon Linklater per un film più serio di quel che sembra

A Richard Linklater non sono mai serviti sensazionalismi di trama e situazioni o svolte clamorose nei suoi film, anche quando sperimenta e si esercita con nuove tecnive visive e di ripresa (A scanner darkly o Waking life), quando segue i suoi protagonisti nell’evoluzione in tempo reale dei propri reciproci sentimenti (la coppia Hawke-Delphy del noto trittico amoroso dei “Before”), o quando li segue nell’arco temporale lungo anni ed anni (l’ultimo premiato ed apprezzato Boyhood).

Qui ci immerge o fa tornare nell’ambiente irresponsabile e sguaiatamente esaltato della vita da college ad inizio anni ’80, quando, ad inizio anno, le matricole accedono per la prima volta ognuno ai propri appartamenti o camere in condivisione, sottoposti alle divertite ed in fondo piuttosto innocue azioni egemoni e orgogliosamente rivendicative del ceto studentesco più anziano.

La vicenda circoscrive l’attenzione su una squadra di baseball, che riunisce presso la stessa abitazione e facoltà i migliori giocatori che si sono evidenziati durante il curriculum di studi precedente.

Una vera e propria squadra, unita formalmente dallo studio, in realtà tutta protesa a farsi conoscere e anche a lanciare qualcuno dei più brillanti tra i membri, nel mondo dello sport professionistico.

Una "mandria" di all american boys in cui davvero, come suggerisce il titolo, "ognuno vuole qualcosa" e lotta finché può, ognuno a modo suo, scriteriatamente, lealmente o meno, goffamente o con classe, per il raggiungimento ognuno del suo più o meno ambizioso, ma agognato traguardo.

Ma quel che interessa a Linklater è la vita di tutti i giorni, l’approccio al campus, la goliardica tendenza dei ragazzi a conquistarsi la simpatia del fiume di ragazze che passa sotto il loro sguardo perennemente allupato dagli irrefrenabili istinti della giovane età.

Un “Porkys” d’autore con la verve e la simpatia, a tratti forse anche la grazia, di un Happy Days fuori tempo, che lascia spazio ai validi protagonisti, specie quelli di sottofondo, di ritagliarsi ruoli e a sfaccettare personalità controverse, discutibili, ma spesso irresistibili.

Un week end trascorso tra fiumi di birra a ballare prima la dance, poi il country, poi l’hard rock senza particolari distinguo, mossi solo dal desiderio impellente e testosteronico di rimorchiare fauna femminile.

Ecco dunque che più del protagonista, il lanciatore Jake, disprezzato ma con pacata rassegnazione dai battitori anziani (“Sappi che tu non potrai mai essere mio amico”…circostanza che presto rivela tutta la sua più totale inverosimiglianza, tanta sarà l’intesa del protagonista con i compagni di corso e squadra), emergono le figure, gli atteggiamenti folli, irresponsabili, incauti, indolenti, del resto della squadra.

Ed è incredibile, nonché il vero pezzo forte del film, solo apparentemente lieve e leggero, la fedeltà della resa scenografica e dei costumi, delle pettinature, degli atteggiamenti, che ci riportano letteralmente e come in un salto nel tempo ai quei fantastici, irresponsabili periodi di tempo goderecci, dove la speranza di emergere era ancora presente e diffusa, e la voglia di distinguersi fremente nello spirito e soprattutto nei corpi giovani in perenne movimento e in sincrono con i ritmi avvolgenti di una dance music che non sarebbe mai più stata bella e pura come in quel momento.  

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