Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Piuttosto modesto di soggetto (classico revenge movie) e con snodi centrali che presuppongono il ricorso a una buona dose di sospensione dell'incredulità (sia per quel che riguarda il modo in cui il protagonista affronta le condizioni climatiche avverse sia per come guarisce da lesioni verosimilmente permanenti), Revenant si trasforma in un raro spettacolo visivo esaltato da molte sequenze capaci di fissarsi nel ricordo degli spettatori.
Premiato con tre oscar (regia, fotografia e attore protagonista), il film del messicano Inarritu si segnala per una regia che sembra guardare, più che al cinema western e all'avventuroso (generi di riferimento), al cinema di guerra moderno. Inarritu ricorre alle semisoggettive, anticipando quanto Mendies farà per 1917 (2019). Molti i piano sequenza, a cui si alternano inquadrature in campo lunghissimo in cui si esaltano le invernali scenografie montane. Taglio cupo, glaciale, con nebbie e neve a farla da padrone, in un contesto selvaggio dove gli alberi si innalzano al cielo e i torrenti scorrono tra cascate e rocce. Ne viene fuori una visione estremamente realistica in cui non mancano la violenza e lo splatter (ce ne sono in abbondanza). Indimenticabile, e anch'essa quasi in semisogettiva, l'aggressione ai danni di De Caprio portata in essere da una femmina di Grizzly. Inarritu gira e porta in scena con una perfezione da lasciare basiti. Bellissimo e con pochi stacchi di inquadratura l'attacco iniziale indiano (forse la sequenza più bella del film), dove lo spettatore viene direttamente calato sul campo di battaglia. Del tutto non preoccupato del rischio di prendersi un vietato ai minori di anni 18 (alla fine arriva solo un vietato ai minori di 14 anni), Inarritu introduce una splatterosa scena in cui De Caprio eviscera un cavallo (con copiosa quantità di frattaglie mostrate agli spettatori) per proteggersi dal freddo imbottendosi all'interno della carcassa. Di spessore anche lo scalpo, con la testa scoperchiata in primo piano, ai danni di un cowboy.
De Caprio offre una delle sue migliori interpretazioni, pur se ombroso e poco propenso al dialogo. Le sue smorfie di dolore, il suo trascinarsi nel bosco, strisciando al terreno, o il suo nuotare in corsi d'acqua delimitati dal neve e ghiaccio acquisiscono un valore aggiunto proprio per le evidenti difficoltà ambientali a cui è chiamato a confrontarsi.
Alla fine è un film tecnicamente notevole, ma non eccelso per quel che concerne la scrittura. La visione è, a ogni modo, un'esperienza a cui non sottrarsi.
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