Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Ogni tanto parliamo anche di film contemporanei và, e soffermiamoci sul regista più in voga del momento, Inarritu, il quale è anche tra i registi più sopravvalutati della storia del cinema. Eppure dopo quel folgorante esordio con Amores Perros (2000), si pensava di ritrovarsi innanzi ad un cineasta di valore, il quale invece ha subito pensato di elevarsi a cantore del dolore "nazional-popolare" con una serie di pellicole pretenziose, autocompiaciute e paracule. Tralasciando l'osannato Birdman (2014) che vorrei rivederlo, dove il messicano ha pensato di fare l'avanguardia con il metacinema copiando poi la visione di Pirandello del teatro (una mezza fusione di Sei Personaggi in cerca d'autore ed Enrico IV) in modo grossolano, giungiamo infine a Revenant - Redivivo (2015), pellicola nella quale Inarritu rasenta praticamente l'assurdo.
Il comparto tecnico è di alto livello, tanto che se qualcuno osa scagliare una pietra contro questo film, si becca degli insulti pesanti. A conti fatti ci troviamo innanzi ad un "meraviglioso vuoto" (per citare una definizione utilizzata dal critico André Techine per definire My Fair Lady, in senso lì positivo, qui con Inarritu negativo invece poiché incapace di riempire contenutisticamente la vastità del paesaggio), dove il regista messicano si autocompiace nei suoi manierismi formalistico-registici, tanto da non accorgersi che in questo modo ha azzoppato la narrazione ed il ritmo dell'opera. Non a caso le parti migliori dal punto di vista della fluidità narrativa, riguardano le sequenze dove Glass (Di Caprio) si lascia trasportare dal fiume, dove grazie al montaggio si riesce a dare maggior dinamicità al film.
Inarritu gioca a fare il Malick ed il Tarkowskji della situazione con grossolani simbolismi e visioni mistiche inserite con un tempismo del tutto sbagliato. Ad esempio il personaggio della moglie indigena di Glass, simbolicamente non è altro che Dio, il quale sceglie tale forma perché maggiormente comprensibile da Glass, visto che la moglie per lui era una figura eterea. Un sentimento edipico, visto che l'uomo ad un certo punto abbraccia l'albero che si nutre della terra... quindi la madre terra = Dio e la natura per Inarritu non è altro che catalizzatore dell'Altissimo.
Ma tutto questo pensiero banale, oltre che fragile (la natura è nemica dell'uomo, non amica di esso come mostrata nel film) non ha forza nelle immagini, perché è chiaro che Revenant è un Lubezki senza Malick, ergo ci ritroviamo solo cartoline in HD con luce naturale. Regia che non fa' altro che pompare la fotografia, ma alla fine le immagini non hanno significato, se non inquadrare il paesaggio dove sta Di Caprio.
Da segnalare una ridicola citazione autoreferenziale e autocelebrativa da parte del regista ad un certo punto. Quello che emerge è che c'è troppa trascendenza (Dio) e ben poco uomo, visto che ogni cosa fisica viene martoriata e deprecata ("Il corpo sta marcendo"). Poi si pone come western iperrealista, ed invece ha 2-3 scene demenziali al massimo, come la sequenza del cavallo e del burrone... la solita spettacolarizzazione Hollywoodiana; nulla in contrario, il problema è che il film vuole avere pretese contenutistico-autoriali massicce e poi invece scade in scemenze grossolane. Non era meglio un film più genuino, meno pensato e tecnicamente meno calcolato? I piani sequenza più che immegerti nella narrazione, ti trascinano al di fuori di essa visto che sono palesi (all'inizio l'inquadratura del piede di un colono, fa' capire subito che succederà qualcosa in quel punto), quando in realtà dovrebbero risultare "invisibili". Ma Inarritu si compiace nel suo vuoto-narcisismo (e molti con lui), tanto da allungare eccessivamente il film di ben 20 minuti e trascinarsi stancamente verso un finale scontato e fiacco.
Sembra in effetti, che i film di Inarritu godano di più attenzione prima del film stesso, che all'atto della visione.
Erano trapelati sia con Birdman che con Revenant particolari tecnici e stilistici delle suddette, prima ancora del trailer, in modo da soggiogare "psicologicamente" lo spettatore. Tra l'altro si cerca un iperrealismo inutile (Di Caprio che mangia il fegato crudo) e poi abbiamo alci fatti con la CGI palesemente visibile, visto che si usa la luce naturale. In sostanza tanti pensieri ed estetismi, per un film che si riduce ad una banale storia di vendetta, di Glass nei confronti di Fitzgerald (Tom Hardy), che non viene mai sentita dallo spettatore.
Inarritu è un uomo molto furbo e ogni volta che apre bocca, è capace di far parlare di sé molta gente. Questa strategia paga visto che alla fine gli sta fruttando premi e nomination a volontà, tanto che ora è a quota 5 oscar.
Di Caprio ha vinto il suo oscar con una perfomance a base di occhi di fuori e denti digrignati per tutto il film (lacrime zero... troppo macho per esternare il vero dolore), ma il migliore è il personaggio di Tom Hardy, che lo supera alla grande con un'intepretazione molto diversa, più sottile e sfumata ma encomiabile, anche se purtroppo si è ritrovato anche lui a pronunciare dialoghi scritti ridicolmente come quello su un associazione tra scoiattolo-Dio.
Grandi incassi, tre oscar, tra cui uno per la regia assolutamente immeritato. Hollywood sembra dirci che la nuova frontiera del cinema è Inarritu beh... io dico che il suo cinema invece vada aspramente combattuto.
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