Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Un corpo tolto al mondo dalla natura e ridato poi al mondo dalla natura stessa.
Il genio Alejandro González Iñárritu torna sul grande schermo con un epopea di introspezione e ricerca umana nelle lande desolate del Nord Dakota dell'800. Dopo il successo del capolavoro "Birdman" trasforma il suo teatro e i suoi corridoi e stanzini in boschi e montagne innevate circondate dal gelo, dove la sopravvivenza è degna di essere chiamata tale. Tratto dal libro di Michael Punke, The Revenant è la storia di Hugh Glass, un uomo che batte la natura e anche sè stesso per conseguire il suo obiettivo. Non è solo la storia di un uomo e la lotta per restare in vita, è molto di più, il cinema è sempre molto di più.
Trapper, o anche cacciatori di pelli. Una vita sempre a rischio con vari agenti fisici e atmosferici pronti a mettere in difficoltà la missione. Lo sa bene Hugh Glass (Leonardo Di Caprio) che mentre è lontano dall'accampamento con suo figlio, il suo gruppo viene attaccato sulle sponde del fiume dagli indiani Arikara che uccidono la maggior parte degli uomini della spedizione per prendere alcune pelli come bottino.
Ciò che salta subito all'occhio è la tecnica rivoluzionaria di Iñárritu; come in Birdman, lo straordinario regista messicano, impreziosisce la pellicola di tecniche di piano sequenza molto lunghe, passando per azioni di battaglia soggettive esplorando tutto il campo e le reazioni di personaggi e ambiente circostante. Tutto è al suo posto ed è come se ci camminassimo dentro quasi come un corpo esterno che guarda esterrefatto la scena sporco di sangue.
I pochi superstiti della spedizione decidono di proseguire via terra per raggiungere il villaggio dopo aver intrapreso momentanemente la via del fiume e qui, cominciano alcuni dissapori mai del tutto sopiti tra lo stesso Hugh Glass e un certo John Fitzgerald (Tom Hardy). Sono due personaggi tanto simili in quella che è la loro professione quanto dissimili umanamente, le due facce della moneta che vengono a collidere. Hugh Glass ha un passato che fa storcere il naso al burbero cacciatore di pelli, sopratutto per ciò che concerne il figlio di Glass, che cerca sempre di punzecchiare con battute ironiche e sarcastiche. Si capisce subito la grande diversità dei due personaggi, Glass è un uomo che ha bisogno di qualcosa di vivo intorno a sè per stare al mondo e andare avanti, Fitzgerald invece è da solo e l'unica persona su cui fa affidamento è sè stesso.
In avanscoperta, Glass lotta contro la natura nel suo simbolismo e nella sua fisicità, la natura va rispettata, non la si può controllare nè fermare ed un orso con tutto ciò che c'è di spirituale in lui glielo fa capire perfettamente. E' una scena di grande sofferenza in cui ci rotoliamo nel fango guardando espressioni ormai ad un passo dal baratro ed un corpo che si dimentica in poco tempo di ciò che era e di ciò che poteva fare.
La missione è messa a dura prova, sia dalla condizione fisica inerme di Glass sia dall' instabilità mentale che vive il gruppo, soprattutto facendo i conti allo stesso tempo con Fitzgerald che, nonostante la freddezza, comincia a risentirne e arriva alla conclusione di conseguire un obiettivo più personale infrangendo codici con atti egoistici e crudeli.
Da qui in poi, la ricerca introspettiva e psicologica di Hugh Glass, un corpo tolto al mondo dalla natura e ridato poi al mondo dalla natura stessa, sembra prendere la forza non solo da sè stesso ma anche dalla splendide ambientazioni che fanno da cornice a paesaggi onirici in cui il silenzio è assordante e il gelo ti entra nelle ossa. Una fotografia da Oscar che lascia inermi mentre vediamo la figura del cacciatore di pelli farsi strada con difficoltà tra steppe, neve e fiumi congelati.
I temi che Iñárritu svela si ramificano intorno alla storia del trapper e si snodano tra i rami degli alberi della foresta dove gli indiani Arikara rivendicano una figlia scomparsa e il loro posto nel mondo toltogli dall'avvento nei loro territori dei Francesi e degli Americani. Una vera e propria denuncia alla società che il regista ci mostra attraverso gli occhi del saggio capo Indiano che ricorda anche a noi spettatori ciò che la storia ha ingiustamente tolto a loro e anche da dove nascono i dissapori non solo passati o semplicemente inerenti a quelle popolazioni, ma anche a tutto ciò che oggi stiamo vivendo nel presente.
Eccezionale (ma lo sappiamo) Leonardo Di Caprio, la sua enorme interpretazione è fisica, espressiva, psicologica, fragile ma anche coraggiosa e attinente con tutto ciò che è il suo percorso di attore ormai diventato maturo da tantissimo tempo e pronto per l'olimpo degli Oscar. Spettacolare allo stesso tempo Tom Hardy (uno dei miei attori preferiti in assoluto!) , non solo per un cambiamento fisico che fa spavento, ma anche e soprattutto per come si è calato nel personaggio del villain di turno, trasmettendo una scintilla di pazzia al pubblico e una mente troppo fragile e disturbata per ascolare solo sè stessa, odore di Oscar. In secondo piano ma personalmente mi sono piaciute da impazzire le prove di Domhnall Gleeson nel ruolo del capo della spedizione Andrew Henry e il giovane Will Poulter nel ruolo di Jim Bridger, attore che potenzialmente ha un grande futuro davanti a sè.
The Revenant, come sopra citato, non è solo la storia di un uomo e la lotta per restare in vita. Bensì è l'obiettivo che ci poniamo, che cerchiamo di portare a termine con le difficoltà e i traumi che viviamo dentro e che possono palesarsi dinnanzi a noi. E' la cieca visione di un uomo che nella sua cecità vede dove agire e il perchè deve farlo, osservando cauto e silenzioso quella meta e il giorno in cui riuscirà ad essere in pace con sè stesso portandola a compimento.
Si sono dette tante cose, che il film è lento, che ciò che accade è impossibile. Partendo dal presupposto che la storia è vera e realmente accaduta seppur romanzata, il viaggio, la ricerca di sè stessi e di ciò che siamo è un percorso lento e inesorabile che abbiamo fatto tutti o che prima o poi dobbiamo fare, come la neve ha reso lento il percorso di Hugh Glass, non pensate che l'asfalto a noi ci renda più veloci.
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