Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
In un America ancora selvaggia... qualche sospiro della Natura proveniente da The New World di Malick riecheggia in Revenant molto più sanguigno e coinvolgente.
Fin dalle prime scene fotografia ed inquadrature, superato un primo e personalissimo omaggio al Solaris di Tarkovskij, trascinano lo spettatore nel turbinio circolare del vento tra gli alberi, delle scintille accese nel buio delle foreste del Missouri del XIX sec. Inarritu, rimanendo attaccato alle spalle dei suoi personaggi, li segue negli scontri violenti tra Uomo e Natura, tra Uomo e Uomo, come se fosse lì con loro a subire gli strattoni della vita, allo stesso modo chi guarda lo schermo avverte le morse del gelo, le freccie nel torace, gli artigli che strappano la carne. Il regista mette in scena la danza tra vita e morte, crudeltà e filantropia: il cinismo viene scavalcato dall'amore padre-figlio, la paura del Sublime viene superata dal ritorno alla Natura, dalla fusione degli opposti.
In queste terre selvagge Di Caprio si muove con lo stesso timoroso rispetto di un re leone nella sua savana, soccombe alla forza della Natura e poi risorge, trovando la pace grazie ad essa.
Ma rispetto alla superefficacia di Birdman, Revenant subisce una battuta d'arresto dovuta forse ad evitabili parentesi narrative che non aggiungono nulla ad una pellicola che dopo un'ora e mezza aveva già detto tutto. Svista perdonabile in un film tecnicamente ben fatto ma che allontana dall'Olimpo della perfezione.
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