Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Paesaggi sconfinati alla fine del mondo, distese di neve e, sul fondo, montagne e … montagne. Alberi, fiumi e cascate, il sesto lungometraggio di Iñárritu è natura. Acqua che scorre attraverso le rocce, neve candida, alberi al vento, al centro l’uomo che si plasma, si adatta, quasi diventa un tutt’uno con quello che lo circonda fino allo stremo. Dialoghi ridotti al minimo necessario, affidati soprattutto ai co-protagonisti, a DiCaprio sguardi e silenzi, al massimo sospiri, nella sua prova più estrema lascia l’impronta della sua maniacale professionalità. Finisce per mangiare pesce crudo e fegato di bisonte non cotto, dorme nella carcassa di un cavallo, si spacca le labbra a decine di gradi sotto lo zero e regala, come da un decennio a questa parte, un’interpretazione magistrale. Alcuni non condividono l’osannazione che i primi critici stanno (finalmente) regalando all’attore dicendo che “ha fatto di meglio” e non nego di averlo pensato anche io. Poi ho contestualizzato il tutto e, dopo diversi giorni dalla visione, ho capito che l’intento era: enfatizzare l’ambiente, il potere della natura, compresa, in un certo senso, anche quella umana dedita alla sopravvivenza qui condita dallo spirito di vendetta che, nella storia reale, non sussiste. La fotografia meriterebbe un discorso a parte, da approfondire con una recensione personalizzata ma, ai più informati, basta il nome di Emmanuel Lubezki per far si che la mente viaggi attraverso la profondità di colori e sfumature, luci e ombre che rappresentano i film della sua carriera da Oscar (finora due conquistati per Gravity e Birdman), solo lui poteva rendere ancora più potenti gli ambienti e ancor più gli scorci di questi immensi paesaggi. Un film meno emozionale di quelli a cui il regista messicano ci ha abituati ma, dopo la “trilogia della morte”, sembra aver intrapreso quella della “rinascita” che si materializza nell’uomo sommesso alla natura e nessun meglio dell’ambientalista Leo DiCaprio poteva accollarsi compito tanto arduo: trasformarsi, plagiarsi esprimendo sofferenza e passione laddove ogni suo sguardo sfuggente brama di vendetta fino al finale dritto in camera, liberatorio, intenso, magnifico, da Oscar!
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