Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Alejandro González Iñárritu, o l'imprevedibile virtù del talento. Ci aveva lasciati con un film (Birdman) tutto in piano sequenza, quasi interamente girato in interni, con dialoghi fittissimi e adesso ci consegna il suo opposto: i vastissimi territori del Canada e della terra del Fuoco, dove Revenant è stato girato (ma nella finzione siamo nel Missouri del 1820), costantemente innevati, e un protagonista (DiCaprio) che, poco dopo avere subito insieme ai suoi compagni un micidiale attacco da parte dei ferocissimi indiani Arikara, viene attaccato da un grizzly. Il comandante (Gleeson) che sta guidando i suoi nei boschi americani alla ricerca di pellame vorrebbe dargli degna sepoltura, convinto in buona fede che stia per scoccare l'ora di quell'uomo che è anche la guida del gruppo. Ma Fitzgerald (un Tom Hardy strepitoso), compagno di avventura avidissimo, pur dovendo vigilare sul suo capezzale lo seppellisce vivo e gli ammazza il figlio mezzosangue davanti agli occhi. Il resto è storia di una sopravvivenza impossibile, della sfida di un uomo che, contro le avversità della natura, sopravvive grazie a un'inesauribile sete di vendetta.
Che Iñárritu avesse un estro cinematografico debordante non è una novità. Ma in quest'occasione lo ribadisce anche grazie alle straordinarie riprese di Emmanuel Lubezki, capace di passare dalla macchina a mano in piano sequenza a panoramiche mozzafiato. Se la forma, ancora una volta, è soprendente senza essere mai di maniera, i contenuti rimandano a un'epica della conquista del west con un sottotesto che non si lascia scappare l'occasione per ricordare chi furono i veri invasori (e non dimentichiamo che Iñárritu è messicano). Tra survival e revenge-movie, Revenant parte da una storia vera (raccontata nel romanzo omonimo di Michael Punke) per mostrarci l'inutilità della vendetta in uno scenario niveo sul quale DiCaprio, trapper immarcescibile, fornisce la prova più fisica della sua carriera, tra pernottamenti all'interno della carcassa di un cavallo morto (forse la scena più dura del film), la barba lunga e ispida, il corpo lacerato, lo sguardo iniettato di sangue: una prova che l'Academy non potrà non premiare con il primo Oscar a uno degli attori più straordinari di tutti i tempi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta