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Revenant - Redivivo

Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film

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La recensione su Revenant - Redivivo

di maurizio73
5 stelle

Storia classica di tradimento e di vendetta che attinge alle sanguinarie radici della nazione americana che nulla sembra aggiungere alla lunga tradizione del revisionismo storico degli anni '70 E '80, spostandola piuttosto sul terreno (di caccia) dello spiritualismo sociale che da sempre caratterizza il cinema del regista messicano.

Abbandonato dalla spedizione del Capitano Henry dopo l'attacco di un Grizzly e lasciato alle cure di suoi due compagni di viaggio e del suo giovane figlio meticcio, il cacciatore di pellicce Hugh Glass riesce a sopravvivere alle terribili ferite riportate ed all'uccisione del figlio da parte di uno degli altri due, percorrendo le molte miglia che lo separano dal forte in cui si è rifugiato il gruppo in cerca della sua personale e spietata vendetta.

 

locandina

Revenant - Redivivo (2015): locandina

 

Tratto dall'adattamento del romanzo Revenant di Michael Punke e basato sulla storia vera del famoso cacciatore di pelli Hugh Glass, il film di Inarritu è una storia classica di tradimento e di vendetta che attinge alle sanguinarie radici della nazione americana e della sua epica di conquista e sacrificio che nulla sembra aggiungere alla lunga tradizione del revisionismo storico degli anni '70 e '80 (da Man in the Wilderness di Richard C. Sarafian che narra la stessa vicenda a Jeremiah Johnson di Sydney Pollack che ne narra una affatto simile), puntando piuttosto a filtrare queste istanze sul terreno (di caccia) di quello spiritualismo sociale che da sempre caratterizza il cinema del regista messicano. Giocato su di una estetica degli spazi aperti che si muove ondivaga e barcollante tra la soggettiva ed il piano sequenza e contando sulla suggestione di scenari incontaminati (Columbia Britannica e Terra del Fuoco) splendidamente fotografati da Emmanuel Lubezki, Inarritu snoda la sua storia dal punto di vista del suo protagonista principale (un imbarbarito e martoriato Leo Di Caprio) quale fulcro di una vicenda dove i valori di rispetto e convivenza di civiltà in conflitto vengono esaltati dall'integrazione di un uomo bianco nei rituali sociali delle popolazioni indigene e dal legame di sangue che lo unisce alla moglie Squaw ed al figlio mezzosangue: la prima uccisa da un attacco dell'esercito americano e l'altro da un compagno di caccia della spedizione da lui guidata. Se il confine etico tra le opposte fazioni sembra annullarsi nelle reciproche ragioni e strategie di sopravvivenza (dalla difesa del territorio al compromesso commerciale con l'uomo bianco), questo sembra piuttosto fare da sfondo ad un regolamento di conti che trova le sue motivazioni nella trasgressione alle regole non scritte del rispetto umano e della lealtà individuale quale presupposto irrinunciabile di una civiltà costretta a confrontarsi con le spietate leggi della wilderness e rappresentando il vero motore drammatico di un film in cui l'uomo possa dirsi veramente uguale a se stesso e non abbrutito nelle sue cieche mire di conquista e cupidigia. Blandire il pubblico con un simile messaggio sembra essere il facile gioco di una regia che tira le fila di una epica individualista che sembra avere tutte le ragioni dalla sua parte (la vendetta per il figlio ucciso, la liberazione della sqaw violentata, la lealtà alla fazione chiamata a difendere: dalla guida di cacciatori bianchi alla difesa di una tribù di rossi) e nessun torto e condendolo con il richiamo all'ambivalenza di una natura ora matrigna ora dispensatrice di cure e di conforto come nella tradizione animista delle popolazioni autoctone. Quello che resta è quindi un film che si trascina ferito ma non domo come il suo coriaceo protagonista, attraverso una sequenza spettacolare quanto risaputa da perfetto manuale della sopravvivenza a 30 sotto zero con tutti gli usi più ingegnosi delle risorse a disposizione (persino un cavallo morto da poco usato come coperta termica, sic!) e dove gli intermezzi onirico-simbolici sono solo il contrappunto di un marchio di fabbrica che non sa incidere più di tanto nella complessiva economia di un racconto che sappiamo benissimo dove vuole andare a parare. Restano le indubbie qualità tecniche di un film che, non ostante la spopositata misura del metraggio, riesce ad avvincere con la sua full immersion audio-visiva in un paesaggio mozzafiato che nemmeno l'antropizzazione e le compagnie petrolifere americane sono riuscita a distruggere definitivamente e che rappresenta il vero protagonista silenzioso ed imperturbabile in grado di tener desta l'attenzione dello spettatore fino alla fine. Accoppiata di primedonne delle migliori occasioni per cui, tra un DiCaprio impellicciato ed un Tom Hardy spelacchiato, è davvero difficile pronisticare chi riuscirà a salvare lo scalpo. Valanga di nomination (tecniche e artistiche) agli Oscar e tre Golden Globe 2016

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