Tre amici torinesi sulla cinquantina e le loro compagne, tutti di quella sinistra radical chic così pallida da sembrare rosata, vivono le loro frustrazioni affettive e professionali. C'è il professore laido (Catania) tradito dalla consorte, il regista teatrale in cerca di ispirazione (Scarpati) e l'avvocato (Tognazzi) costretto a subire la passività della moglie (Crippa). In una delle tante occasioni salottiere che la vita offre loro si troveranno di fronte a qualche scottante verità.
Tracotante a partire dal titolo, ispirato a una poesia di Vittorio Sereni, il film racconta il fascino meno che discreto di una borghesia annoiata e ricca segnata dal fatto che "qualcuno ha detto che Dio ci ha dato l'abitudine al posto della felicità" con stile antinarrativo, ricerca del torbido e troppo storie che non vanno al di là di un certo bozzettismo. I difetti di scrittura sono palmari e non manca qualche ridicolaggine come quella della donna attempata che scopre di essere incinta proprio nel giorno in cui gli si ripresenta dopo anni quello che fu il grande amore della sua vita (Fiorello). È il più canonico esempio di cinema che vorrebbe avere un'impronta autoriale e che invece viene tenuto, a ragione, a debita distanza dalle sale, tant'è vero che è stato distribuito in maniera quasi carbonara con due anni di ritardo. Attori di serie B.
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