È cosa nota che un prodotto vincente non necessiti di ulteriori cambiamenti. A provarlo non è solamente la ricorrenza del vecchio adagio quanto piuttosto l'esperienza sul campo che il cinema e in particolare le grandi Majors hollywoodiane hanno messo a frutto attraverso produzioni ad alto tasso di serializzazione. In questo ambito è però necessario, almeno a livello di analisi, fare dei distinguo che solo apparentemente rientrano nell'esercizio di retorica a cui talvolta è costretto il recensore nel tentativo di supplire all'inconsistenza della materia prima che è chiamato a giudicare. Il quinto capitolo delle avventure dell'agente Ethan Hunt e dei suoi temerari compagni calza a pennello con la tipologia di prodotto a cui abbiamo appena accennato, essendo non solo un blockbuster di primo livello per marketing e investimenti finanziari ma anche per il fatto di presentare caratteristiche di omologazione rispetto al calco originale ("Mission: Impossible" di Brian De Palma) che rendono gli episodi della saga pressoché identici. Per questo motivo crediamo che nel parlare di "Mission: Impossible - Rogue Nation" risulti poco interessante soffermarsi sugli elementi costitutivi di una vicenda come al solito costruita tutta in salita, con i nostri eroi costretti a dimostrare la propria lealtà, operando in un territorio ai limiti della legalità, e rischiando la vita per salvarla a chi per primo ne mette in dubbio la loro credibilità. Meglio piuttosto registrare la varianti che, pur sottili, esistono anche nel film diretto da Christopher McQuarrie, new entry piazzata in cabina di comando per continuare a gestire il restyling operato nel capitolo precedente, il più significativo nell'economia generale della saga, soprattutto per quanto riguarda la centralità del personaggio principale, costretta a fare posto al protagonismo degli altri membri della squadra e, diciamo noi, alla bravura degli attori - Jeremy Renner e Simon Pegg - chiamati a interpretarli; e, sempre in termini di novità, per la qualità drammaturgica della storia, che la regia di Brad Bird ( "Gli incredibili" ma anche "Il gigante di ferro") aveva vivacizzato con inserti improntati a un tipo di humour che faceva il verso a quello sperimentato dallo stesso regista nei lungometraggi realizzati per conto della Pixar. In questo senso, "Rogue Nation" segna a nostro avviso il ritorno in grande stile dell'agente segreto interpretato da Tom Cruise e quindi, dell'attore stesso, presente in grande spolvero soprattutto sotto il profilo della forma fisica (aspetto da non sottovalutare se ricordiamo che molte delle critiche rispetto a una possibile stanchezza del personaggio erano collegate anche all'appannamento fisico dell'attore registrato in "Mission Impossible III").
Con la complicità del fido McQuarrie, già regista di quel "Jack Reacher" che aveva contribuito a rimetterlo in pista dal punto di vista commerciale, Cruise si esibisce dal primo all'ultimo minuto in una serie di acrobazie fisiche che tolgono ogni dubbio sull'eventuale incompatibilità anagrafica dell'attore rispetto al ruolo da lui interpretato. Una restaurazione che da una parte restringe il raggio d'azione degli altri attori, relegati al ruolo di comprimari, e che dall'altra mette al bando quelle propaggini di ilarità introdotte dal personaggio di Simon Pegg, qui, e non a caso, autore di un'interpretazione ai limiti della seriosità. Ma non solo, perché "Mission impossibile - Rogue Nation", a differenza dei film che lo hanno preceduto, sembra guardare alle origini della saga e, nello specifico, alla forma cinematografica del prototipo realizzato da Brian De Palma, ripreso sia nella scelta dall'ambientazione mitteleuropea (con Vienna al posto di Praga) e più in generale di quella matrice europea che aveva influenzato - anche nell'uso ragionato degli effetti speciali - la produzione del film del 1996, come pure nella similitudine della scena dell'infrazione alla banca dati del nemico, simile per tempistica (ambedue piazzate a metà del racconto) e modalità a quella in cui Tom Cruise, calato all'interno del caveau si ritrovava ad operare in uno stato di sospensione gravitazionale. Arrivando a citare il regista di "Carrie" (qui il riferimento è fornito dalla lunga sequenza dell'omicidio di "Snake Eyes") nell'inserto organizzato all'interno del teatro dell'opera della capitale austriaca e nel dietro le quinte di una rappresentazione operistica che, grazie all'enfasi del commento canoro, diventa co-protagonista di una "caccia al ladro", in cui, a farla da padrone, è il voyeurismo della mdp che attraverso il punto di vista dei personaggi ci presenta diverse facce della medesima realtà. Per il resto "Rogue Nation" è routine di lusso, determinata a confermare il proprio marchio di fabbrica anche a costo di risultare scontato e ripetitivo. Che tutto ciò basti a realizzare il necessario "plusvalore" è tutto da dimostrare; sta di fatto che paradossalmente è proprio l'incertezza del responso finanziario a fornire un minimo di imprevedibilità rispetto alla calcolata scientificità del divertimento che il film di McQuarrie ci regala.
(pubblicata su ondacinema.it)
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