Regia di Lewis Gilbert vedi scheda film
Incredibile ed interminabile polpettone storico-romanzesco, nel quale ogni svolta, anche la più mirabolante, risulta sempre più prevedibile. Paesaggi da cartolina (sia dell'America Latina che di Roma, ma anche dei grattacieli newyorkesi) fanno da sfondo alle rocambolesche avventure (anche erotiche) di un personaggio marchiato a fuoco dalla violenza che respira fin da bambino nel proprio martoriato paese, purtroppo simile a tante "repubbliche delle banane", perennemente prede di rivoluzioni e controrivoluzioni. Ci sarebbe anche un risvolto psicoanalitico, poiché il giovane Dax concepisce il sesso come un atto di violenza, al termine del quale la natura delle cose dovrebbe prevedere l'uccisione della donna. Ma, a parte questo, gli autori vorrebbero farci credere che le rivoluzioni sudamericane sono un caos inestricabile, per colpa delle confusionarie idee dei contendenti in campo, senza un minimo accenno agli interessi e alle responsabilità dei regimi capitalisti (primo tra tutti gli Stati Uniti d'America, patria di Harold Robbins, autore del romanzo all'origine di questo film), interessati allo sfruttamento delle risorse di questi poveri paesi martoriati e sempre disposti ad investire qualche milioncino di dollari per rifornire di armi la fazione più propensa a rilasciare permessi e concessioni alle compagnie straniere. In questo senso, il film è colpevole di propagandare un'ideologia falsa e pericolosa: e tanto più colpevole lo rende l'idea di mettere in scena un finale che si richiama allo Zapata di Kazan e Brando.
Dal punto di vista puramente spettacolare, si può anche rimanere affascinati da questo turbillon che prevede un'ambientazione e un cast internazionali, ma non sono attori come l'ex Ulisse televisivo Bekim Fehmiu o lo Yorgo Vojagis (che qui è il capo rivoluzionario El Lobo e anni dopo sarà San Giuseppe per Zeffirelli) a poter salvare una simile operazione.
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