Regia di Stéphane Brizé vedi scheda film
Perso il lavoro come gruista il cinquantenne Thierry, marito e padre di un figlio disabile, accetta un incarico come vigilante in un centro commerciale. La sua precarietà professionale e le contingenti difficoltà economiche in cui versa però, non hanno scalfito il fondo di umanità e dignità personale con cui guarda ai piccoli e grandi soprusi di un mondo del lavoro che vorrebbe piegare tutto e tutti alla spietata logica del profitto ad ogni costo.
Le coordinate del cinema sociale e la impassibile analisi di uno civiltà del lavoro votata alla cinica mercificazione delle relazioni umane puntano, almeno nell'ultimo ventennio, indiscutibilmente verso il rigoroso impegno delle produzioni francofone (La vie rêvée des anges 1998 - Erik Zonca ; La Promesse 1996 - Rosetta - 1999 - Deux jours, une nuit 2014 - Jean-Pierre e Luc Dardenne), le sole che sembrano aver saputo e voluto interpretare i mutamenti sotterranei che come un fiume carsico hanno eroso alle fondamenta i valori di solidarietà sociale e di rispetto individuale di un ideale socialdemocratico spazzato via dall'ondata neoliberista degli anni '90 e più ancora dalla globalizzazione dell'inizio del nuovo millennio. Se questo appare come un esercizio che, come nel caso dei fratelli Dardenne, sembra rivolgersi in un formalismo accademico e tematico a volte eccessivamente programmatico, è pur vero che sembra aver fatto scuola nell'educare la sensibilità del pubblico come pure degli addetti ai lavori ad un modo di intendere il rapporto con il mezzo cinematografico come un veicolo di analisi sociologica e di riflessione etica sulle derive di un contesto culturale dove i modelli di pensiero e di comportamento vengono decisi a tavolino come qualunque altra strategia di marketing.
Risulta quindi apprezzabile che la scelta del rigore di inquadrature fisse all'interno delle quali far muovere personaggi colti nella loro attonita quotidianità come pure nell'antiretorica di soluzioni espressive che rinuncino a qualsiasi compiacimento estetico o suggerimento etico, siano le uniche possibili con cui possiamo osservare la realtà del protagonista traendone le inevitabili conseguenze legate al suo rapporto con un mondo del lavoro solo apparentemente pacificato, dove la rinuncia al conflitto sociale e la sottomissione alle continue vessazioni di una assurda richiesta di flessibilità (le inefficience burocratiche dell'agenzia di collocamento, le umiliazioni del colloquio via Skype e quelle del gruppo di auto-analisi del 'candidato ideale', i suggerimenti avventurosi del consulente finanziario) sono nulla al confronto con le spietate pratiche di epurazione sociale che il diritto sembra concedere a chi governa sul campo le implacabili leggi del mercato.
Se è vero che il problema sembra stare nel modello di benessere economico in cui le moderne società capitalistiche hanno confinato le classi meno protette, il film di Brizé si interroga però sulle più profonde e radicate qualità dell'uomo, sulla sua capacità di resistere in una lotta impari con forze che richiedono, in cambio della sussistenza economica e della sopravvivenza familiare, la rinuncia ad ogni residuo di dignità e di rispetto per sè stesso e per gli altri. La risposta che si dà però sfugge all'amarezza dell'abdicazione per diventare retoricamente consolatoria, racchiusa nel gesto finale di un uomo che 'licenzia' la sua azienda per un rapporto di fiducia che è venuto inesorabilmente meno.
Presenza dolente e asciutta di uno straordinario Vincent Lindon, unico attore professionista giustamente premiato a Cannes 2015 per la migliore interpretazione maschile.
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