Regia di Stéphane Brizé vedi scheda film
La legge del mercato non è uguale per tutti, ma rende tutti uguali, strizzati nei limiti inesorabili, non espandibili, di stipendi insufficienti, contratti a termine, sussidi di disoccupazione. La crisi soffoca, è un contenitore angusto, in cui Thierry si muove, ancora, con relativo agio: senza lavoro da quasi due anni, 500 euro al mese per mantenere la sua famiglia - una moglie e un figlio disabile -, ha la dolorosa consapevolezza di essere più fortunato di molti degli ex colleghi. Brizé riquadra il suo protagonista in cornici via via più strette, in pianisequenza asciuttissimi: Thierry subisce i confini e le gabbie, dallo schermo di un umiliante colloquio di lavoro tramite Skype allo spazio risicato della roulotte per le vacanze che è costretto a vendere. Vincent Lindon giganteggia regalando al personaggio una feroce ironia sotto pelle, uno sguardo - spesso silente - che pare perforare gli strati di ottusità della burocrazia, la testarda disumanizzazione delle prassi che non hanno fra i propri parametri quello della dignità. Quando Thierry trova un lavoro, è un compromesso atroce: guardia antitaccheggio in un supermercato, costretto per non perdere il posto a denunciare le irregolarità dei colleghi, diventa il livido anello di congiunzione fra chi le leggi del mercato le scrive e chi le subisce. Quasi un controcampo del Due giorni, una notte dardenniano, si interroga, con rigore programmatico, sul medesimo svuotamento di senso di “il lavoro nobilita l’uomo”.
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