Questo fatto, che si sta verificando da molti anni in tutto il mondo, è uno dei risultati dell’imporsi del modello liberistico, che ha coinvolto dapprima i paesi emergenti e, successivamente, per fronteggiare la concorrenza, anche la vecchia Europa dello stato sociale e dei diritti.
Di questa realtà, quotidianamente sotto i nostri occhi, si occupa La loi du marché, film francese che racconta la storia di Thierry (Vincent Lindon), uomo sulla cinquantina, che – dopo decenni di impiego da tecnico qualificato e di vita serena – si trova senza lavoro ed è costretto non solo a rimettersi in gioco, fra difficoltà di ogni genere, ma a constatare anche la debolezza delle risposte degli organismi istituzionalmente preposti ad aiutarlo.
Gli uffici pubblici, che dovrebbero offrirgli l’opportunità di seguire corsi di riqualificazione per ri-immetterlo nel mercato del lavoro, si rivelano carrozzoni autoreferenziali incapaci di creare una vera relazione tra la domanda e l’offerta di lavoro, mentre i sindacati, divisi fra loro, stentano a entrare nel merito del problema, e si perdono, accapigliandosi, tra molti discorsi di metodo e di procedura.
In questo modo, per Thierry i mesi passano e il futuro – senza prospettive di impiego – gli presenta il conto: la scadenza del mutuo (nessuna proroga da parte della banca, ma una costosa proposta assicurativa a garanzia della propria famiglia); le esigenze della moglie e di un figlio handicappato.
Sarà un supermercato, infine, ad assumerlo come vigilante.
Sembra che tutto proceda per il meglio: non si tratta, del resto, che di far attenzione ai taccheggiatori, tentati dall’esposizione invitante delle merci.
In seguito egli dovrà occuparsi anche dei suoi colleghi cassieri, a loro volta tentati dal denaro che non sempre maneggiano onestamente.
Qualcosa si inceppa, però, nel nuovo lavoro di Thierry: il meccanismo semplice e collaudato della segnalazione delle colpe e dei colpevoli è in realtà molto delicato, e lascia scorgere casi umani dolorosi e drammatici, che pongono problemi e lacerazioni alla sua coscienza, cosicché, alla fine del film, la sua uscita di scena mentre si fa buio lo schermo pare alludere al suo rifiuto di rendersi complice di chi, sull’altare della legge del mercato, è pronto a sacrificare la propria solidarietà e la compassione.
Vincent Lindon è perfetto nell’interpretare Thierry, tanto da aver meritato la Palma d’oro a Cannes per la migliore interpretazione maschile. Attorno a lui, purtroppo, il vuoto.
La regia si avvale di persone tratte dalla vita reale, che recitano se stesse - per brevi sequenze narrative - nei verissimi ambienti del loro lavoro quotidiano, ciò che sembra realizzato nell’intento di far emergere la performance del mattatore Lindon, per altro segnalatosi da tempo come uno dei migliori attori europei.
Questa e altre incongruenze sminuiscono la forza della denuncia, raccontata, per fortuna, con toni asciutti, quasi documentaristici, ciò che evita, quasi sempre, per la sua durezza, lacrimevoli toni mélo
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