Regia di Jay Roach vedi scheda film
Attorno al maccartismo hanno ragionato molti autori, sin dai tempi in cui la devastante commissione per le attività antiamericane imperversava nella caccia alle streghe. Se i film di quel periodo si esercitavano nell’allusione e nella parafrasi (uno per tutti: Mezzogiorno di fuoco), quelli realizzati dopo hanno spesso scelto di raccontare personaggi emblematici (da Il prestanome a Good Night. And Good Luck). Semplificando il potenziale politico della storia, ridotta per amor di stilizzazione ad una disputa tra un americano comunista integerrimo e una banda di fanatici reazionari, Trumbo non coglie tanto l’occasione di riflettere criticamente su quella stagione: piuttosto pare insistere nella tendenza tipica del biopic contemporaneo, scegliendo come approccio la mimesi illustrativa nelle interpretazioni, nel décor, nelle musiche.
Dico pare perché Trumbo presenta un sottotesto abbastanza gustoso che fa onore ad un film dedicato ad uno sceneggiatore: c’è un mimetismo che confina con la deformazione, una dichiarata ispirazione al repertorio iconografico dell’epoca (filmati televisivi, cinegiornali) e un’esasperazione delle caratteristiche dei personaggi. Così tra i cattivi Hedda Hopper (la sagace e divertita Helen Mirren) diventa una potente villain di corte con cappellini ridicoli e John Wayne ricorda un po’ lo scazzottatore raccontato in Triste, solitario y final, tra i buoni Kirk Douglas ha un’espressione fin troppo maliarda e Preminger fin troppo arcigna ma si fanno benvolere. È una lettura interessante che forse rappresenta la cifra di Jay Roach, regista che in una dozzina di commedie dirette o prodotte ha infilato alcune curiosità politiche come Recount (sui brogli che fecero vincere Bush) e Game Change (sulla campagna elettorale di Sarah Palin) in cui riesce a non scadere nella caricatura.
Per Roach, anche la tragedia ha bisogno di commedia: non a caso i buffi baffoni di Trumbo vengono rasati all’ingresso in carcere per poi comparire di nuovo quando comincia a collaborare con gli assurdi fratelli King (John Goodman che minaccia con la mazza da baseball non sembra arrivare da una commedia?). Tuttavia, la consapevolezza della commedia non mitiga la forza del dramma, che ha soprattutto una funzione didascalica in una prospettiva didattica. In questo senso Bryan Cranston è maiuscolo in un’interpretazione fedele ma personale di un personaggio difficile di cui sa esplicitare senza manierismi la tridimensionale complessità, esaltandola nella sobria rievocazione del discorso finale.
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