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L'ultima parola: La vera storia di Dalton Trumbo

Regia di Jay Roach vedi scheda film

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La recensione su L'ultima parola: La vera storia di Dalton Trumbo

di Gangs 87
6 stelle

Alla fine degli anni ’40, tra l’America e la Russia prende vita La Guerra Fredda. Tra le innumerevoli paranoie che animano la politica del tempo, c’è anche la paura del comunismo. Dalton Trumbo, uno dei più grandi sceneggiatori di Hollywood, finisce nella famigerata lista nera. Mantenere la propria integrità morale e al contempo il proprio lavoro sarà quasi impossibile.

 

Jay Roach ci ha educato all’irriverenza grazie alla sua serie di pellicole su Austin Powers, sarà per questo che era forse il regista più indicato per raccontare la vita di Dalton Trumbo, e in particolar modo quel periodo della sua esistenza in cui ha dovuto dimostrare l’innocenza della sua posizione politica e sociale, mantenendo al contempo la sua famiglia e scrivendo sotto falso nome alcune delle più importanti sceneggiature del tempo.

 

Nonostante l’angusto e misconosciuto tema trattato Jay Roach dirige una pellicola lenta ma mai noiosa. Ricca di argomentazioni e punti di vista, risulta a volte difficile seguirla con lo stesso trasporto dall’inizio alla fine ma instilla nello spettatore il giusto grado di curiosità per procedere nella visione. A fare da collante alla narrazione c’è senza dubbio l’ottima ambientazione, arricchita da una fotografia consona a proiettare colui che guarda nel periodo temporale raccontato.

 

Bryan Cranston è credibilmente a suo agio nel ruolo del protagonista e non finisce per dare mai la sensazione di un “qualcosa di recitato” ma piuttosto di un documento video di quel qualcosa di realmente accaduto, di quella caccia alle streghe, di cui divenne il maggior esponente.

 

Nonostante i molti elementi a favore sopra descritti, la pellicola di Roach però sembra non decollare mai. Lascia storia, spettatori e narrazione, in un limbo basilare in cui le emozioni non sono contemplate e in cui coloro che guardano restano spettatori inermi che non riescono mai ad amalgamarsi alla narrazione che si limita, appunto, come già detto sopra, a raccontare intromettendo tra i fatti e il racconto una distanza siderale e incolmabile.

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