Regia di Jay Roach vedi scheda film
La vita di Dalton 'Trumbo', come suona il titolo originale, da noi, come non mi stancherò mai di fare, cambiato in 'L'ultima parola', forse per evocare in qualche distratto spettatore dell'ultimo momento che, entrato in sala per sbaglio, un interesse verso una pellicola che parrebbe a sfondo processuale ma che, per fortuna, lo è in una minima sua parte, poteva dar luogo a un grande film ma necessitava di mani senza dubbio più esperte di quelle dell'anonimo Jay Roach, più aduso a filmetti come la saga dei Fockers o altri anche peggiori, ossia i tre capitoli di Austin Powers, che dirige piattamente e senza nerbo uno script - di John McNamara e Bruce Cook, dal suo stesso libro - che magari lo stesso sceneggiatore non avrebbe apprezzato - mentre ho letto che la figlia Nikki invece l'ha approvato - poiché sempre pronta a non spingere troppo sul pedale dell'acceleratore le tematiche affrontate e gli episodi mostrati, rimanendo in una specie di limbo, dove il mondo dello Showbiz hollywoodiano, alla fine, è disposto a 'perdonare' chiunque ne faccia parte sebbene abbia messo in crisi le sue fondamenta e con le sue idee politiche, discutibili come tutte ma legittime, abbia messo in discussione proprio quella componente 'propagandistica' che ai tempi della Guerra Fredda era più viva che mai.
Si assiste così ad un dipanarsi di eventi, narrati con l'espediente di mixare momenti di finzione pura a filmati di repertorio oppure a ricostruzioni in b/n appunto di fasi dei processi subiti da Trumbo e gli altri dissidenti che con lui formavano i cosiddetti 'Dieci di Hollywood', dove si ha l'impressione che tutto sia un po' edulcorato.
L'appassionato sarà curioso di notare le rassomiglianze tra attori veri che recitano parti di colleghi, nonché registi, tecnici e produttori e tutto quel mondo che gravita loro attorno, notando ad esempio che l'attore che interpreta John Wayne (David James Elliott) c'entra davvero poco con il Duca che, da come è descritto, ma già lo si sapeva, non era certo come la gran parte dei personaggi, dotati di rettitudine, portati sullo schermo, ma tutt'altro, oppure che il personaggio di Hedda Hopper, reso magnificamente da Helen Miller, ha un peso maggiore di quello che aveva nella realtà, ma questo appare più un gioco fine a se stesso che una circonstanziata analisi, certamente accurata nella ricostruzione di un'epoca, di un momento così importante come quello della 'Caccia alle streghe'.
Rimane tuttavia, oltre al puro e semplice aspetto di far conoscere un personaggio che così tanto ha dato al cinema, come Trumbo, una grande prova mimetica di Bryan Cranston, nei panni dello scrittore/sceneggiatore osteggiato per appartenza al Partito Comunista Americano, che riesce a costruire un bel personaggio, coadiuvato da altre belle prove di Diane Lane, la moglie Cleo, Elle Fanning in quelli della combattiva figlia Nikki, Louis C.K., un collega colpito dal cancro e John Goodman, un produttore di film di serie B disposto a far lavorare Trumbo.
Un film più anedottico che profondo, riuscito a metà, che in ogni caso val la pena vedere, magari per confrontarlo con 'Il prestanome' di Martin Ritt - autore tra i più 'politici' che ci siano stati in America - opera di ben altro spessore e portata.
Voto: 6,5 (v.o.s.).
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