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Captain Fantastic

Regia di Matt Ross vedi scheda film

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La recensione su Captain Fantastic

di maurizio73
5 stelle

Favoletta accattivante e furbetta in cui le facili edulcorazioni da romanzo per famiglie trasformano un plausibile immaginario post apocalittico alla Jack London, nella felice decrescita di una Famiglia Bradford in campeggio permanente, con una masnada di enfant sauvage cresciuti a selvaggina e meccanica quantistica.

Padre di sei figli e con una moglie in ospedale per problemi psichici, Ben Cash si è stabilito tra i boschi dello Stato di Washington rifuggendo la civiltà dei consumi ed educando la prole ad una rigida disciplina di sopravvivenza fisica ed eccellenza intellettuale. Quando la moglie muore suicida, sarà costretto ad affrontare un lungo viaggio insieme ai figli per partecipare al funerale, scontrandosi con l'ottusa intransigenza del suocero da sempre contrario al suo stile di vita ed intenzionato a sottrargli la custodia dei nipoti.

 

locandina

Captain Fantastic (2016): locandina

 

Facendo propria l'ispirazione costituzionale di un primo emendamento che si applica non solo alla libertà di culto e di pensiero ma anche e soprattutto alla filosofia di vita, Matt Ross imbastisce un dramma pedagogico ed ecologista che vive delle buone intenzioni di una utopica regressione sociale e delle solite contraddizioni del sogno americano, diviso tra progresso culturale e sperequazioni economiche; nella convinzione che l'aspirazione alla felicità si raggiunga attraverso la costituzione di una comune proletaria a conduzione familiare, isolata in un Eden naturalistico ed autonoma rispetto alle derive di un imperante modello corporativo. Che il cinema indipendente battesse da qualche anno a questa parte sul tasto di una riscoperta di valori e spiritualità al di fuori delle omologazioni della moderna civiltà occidentale, lo si era già capito con le opere di cui il Sundance ed altri festival di settore si sono fatti solerti promotori (Martha Marcy May Marlene, Sound of my voice, The East, Old Joy, Night Moves), avanzando sempre una più o meno esplicita critica anti-sistema, ma anche mettendo in guardia dalle inevitabili derive dall'imperio autoreferenziale di pericolosi estremismi. Non sembra fare difetto questa favoletta accattivante e furbetta del poliedrico Matt Ross, in cui le facili edulcorazioni da romanzo per famiglie trasformano un plausibile immaginario post apocalittico alla Jack London, nella felice decrescita di una Famiglia Bradford in campeggio permanente, con una masnada di enfant sauvage (qui sono sei, lì erano otto) cresciuti a selvaggina e meccanica quantistica, tra la rigida disciplina dei cacciatori-raccoglitori cari a Diamond e le teorie marxiste care a Trockij, impegnati il giorno in una cordata in parete e la sera in una jam session dai ritmi tribali. Al contrario dell'utopica fuga dalla civiltà dell'Harrison Ford di Mosquito Coast (il tentativo fallimentare di applicare la sapienza tecnologica alla manipolazione della natura, miseramente naufragato sulle rive di un mondo fangoso e infertile), qui il ritorno alle origini funziona a meraviglia: i ragazzi sono puliti, carini e ben educati, il mentore si dimostra severo ma comprensivo ed il mondo civilizzato è facilmente accessibile grazie all'autobus non ancora fuori uso di un Emile Hirsch in versione Jeremiah Johnson. Diviso idealmente in due parti separate dallo spartiacque di un evento luttuoso che fa da motore drammatico della storia, questo racconto di formazione di genietti poliglotti con un padre supereroe (le grandi parlano l'Esperanto e le piccole sono già pronte per il Triage di un importante ospedale universitario), si risolve nell'elaborazione del lutto di una tragi-commedia on the road in cui le ragioni dell'utopia (Mens Sana in Corpore Sano) si scontrano con l'insano rifiuto di una realtà che condannerebbe i figli all'isolamento ed all'infelicità (senza contare l'impatto sul core business evolutivo di una mancata riproduzione sessuale): il risultato, dopo lo scontro generazionale con l'immancabile pecora nera (su sei figli, è pura statistica!) e l'ostracismo reazionario del suocero Bonanza, non può che essere il giusto compromesso di una cascina appena fuori mano ad allevar galline. Ottimo il casting di piccole canaglie che imbastiscono gustosi siparietti musicali e fondamentale contributo del vichingo Mortensen che pare abbia partecipato con idee originali a sceneggiatura e messa in scena. Già premio Un Certain Regard per la miglior regia a Cannes 2016, vanta numerose e prestigiose candidature per l'anno in corso tra cui l'Oscar ed il Globe per il Miglior attore protagonista al biondo interprete di origini danesi.

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