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Cinque tequila

Regia di Jack Zagha Kababie vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Cinque tequila

di omero sala
6 stelle

 

locandina

Cinque tequila (2014): locandina

 

 

Io - sarà l'età - l'ho trovato un film triste. 

Bellissimo, ma triste.

Comico, ma triste.

La comicità, non solo in Spagna, è una degli strumenti più potenti di cui disponiamo per esprimere la disperazione: quando il dolore è insostenibile, lo si può guardare solo attraverso specchi deformanti; quando l’angoscia è indicibile, se ne rappresenta il risvolto comico. 

Chi contempla la sua infelicità attraverso la lente dell’umorismo non si salva ma evita almeno di restare sepolto dal patetico.

 

Pedro, Emiliano, Augustin e Benito (320 anni in quattro) sono vecchi amici che passano le giornate al bar, giocando a domino.

Pedro, al quale i medici hanno appena diagnosticato un cancro, chiede ai tre compagni di esaudire il suo ultimo desiderio che è quello di portare al museo di Guanajuato - dedicato a José Alfredo Jiménez, popolarissimo compositore messicano di musica ranchera - un vecchio tovagliolo di carta (per lui una reliquia) sul quale il cantante – anni prima, quando non era ancora così famoso - nel corso di una affratellante sbronza, aveva tracciato la prima stesura di una diffusissima canzone prima di fargliene dono, con solenne dedica e autografo.

Il film racconta di questo viaggio, esilarante e penoso.

 

I tre vecchietti sono legati dalla solidarietà che si crea fra gli emarginati per istinto di sopravvivenza. 

Come il loro defunto amico, sono insoddisfatti del presente e si portano addosso un bilancio fallimentare del passato.

Il ritrovarsi quotidianamente al bar per giocare a domino è il segno evidente della loro solitudine.

La loro alleanza è tanto più profonda quanto più inconsistenti risultano i legami familiari: i tre pensionati sono indivisibili perché avvertono chiara la deriva, il deserto della vita; nutrono compassioni reciproche, consapevoli del fallimento esistenziale;  si vogliono bene per risarcire l’inconsistenza di ogni altro affetto; si sorreggono per compensare l’insignificanza dei valori e l’assenza di misericordia; perseguono un piccolo obiettivo concreto perché hanno visto sgretolarsi ogni altro sogno.

 

La soddisfazione del capriccioso sogno del loro amico defunto (che s’illude di passare alla storia per il solo fatto di essere menzionato nella didascalia di un oggetto insignificante in un piccolo museo di provincia) diventa per ognuno di loro un imperativo imprescindibile, un punto d’onore, una ragione di vita, un pretesto sufficiente per lasciarsi sconvolgere la vita, un appiglio per uscire dal piattume della quotidianità. Ma non credono nella "missione": non assegnano al foglietto spiegazzato il valore sacrale che si assegna alle reliquie (rompono il vetro per incuria, lo tolgono dalla teca-cornice, lo stazzonano, lo profanano falsificando la dedica, ...).

 

 

scena

Cinque tequila (2014): scena

 

 

Il viaggio, iniziato per adempiere una promessa, diventa altro: un gesto di emancipazione, un’avventura picaresca, un’inversione di marcia, un guizzo di vita che può restituire colori al grigiore della vita, ripristinare la dignità sepolta, scampare dall’inesistenza che precede la fine.

 

I tre protagonisti vivono (e compiono il loro viaggio) fra mille difficoltà (acciacchi, parenti, magre finanze, contrattempi).

Lo fanno con la caparbietà dei vecchi - tanto più ostinati quanto più soli – la stessa ostinazione che abbiamo già visto in alti film (Una storia vera di David Lynch o Nebraska di Alexander Payne).

Attraversano il Messico (in taxi, in pullman, a piedi, su uno schiacciasassi) come se fosse un paese straniero (e per loro lo è).

Incontrano autisti stravaganti e pittori naif, poliziotti e guardiani notturni, streghe e puttane; ma i loro, più che incontri, sono scontri. La solidarietà che trovano è nulla, scarsa, non disinteressata. 

Solo la strega e la guardiana notturna dello schiacciasassi sembrano mostrare empatia: ma si tratta di due vecchie, e la solidarietà è data da ragioni anagrafiche e dal fiutarsi fra emarginati.

 

La missione per la quale si sono mossi resterà stupidamente incompiuta: il tovagliolo autografato arriverà al museo, ma la nuova cornice coprirà il nome del loro amico desideroso di questa piccola immortalità.

E il mondo sarà uguale a prima.

Ma i tre superstiti avranno salva l’anima che – in termini laicamente concreti – non è altro che la lucida, disincatata percezione di sé.

 

 

PS

Una cosa mi è piaciuta molto: l'amicizia fra i tre forte (quanto il senso di solitudine?). Un’amicizia (coesione fra degli emarginati) che si esprime in estrema libertà, senza smancerie e senza finzioni; antica, radicata, solida al punto che si nutre di ironico disincanto, si veste di ruvida schiettezza, si esprime con una disarmante sincerità, esasperata (ma anche rinsaldata) in un eterno gioco di velenose ironie e di punzecchiature caustiche. 

I tre si dicono tutto - e sempre - con sconcertante sincerità; e la loro suscettibilità (che fuori dal cerchio è smisurata) non ne risente. 

Segno questo di un forte legame ma anche - direi soprattutto - di una altissima e lucida consapevolezza delle proprie inadeguatezze. 

 

 

scena

Cinque tequila (2014): scena

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