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Cinque tequila

Regia di Jack Zagha Kababie vedi scheda film

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La recensione su Cinque tequila

di alan smithee
6 stelle

Viaggio terminale di tre anziani acciaccati e messi da parte dalla vita, impegnati a consegnare una strana reliquia ad un museo in onore del loro coetaneo appena scomparso. Una commedia dolce-amara che parla di morte inevitabilmente, ma con apprezzabile vitalità e tenace, palpabile spirito di riscatto.

“Eravamo quattro amici al bar”…cantava Gino Paoli una quindicina di anni orsono, o forse anche più… ed eccoli i quattro amici ottantenni al bar…. Un Bar(Lume) messicano che può ricordare, da distante, l’ambientazione della spiritosa trilogia toscana ironico-spiritoso-gialla di Malvaldi.

Anche qui il tono è leggero, frivolo e spiritoso, pur se gli argomenti trattati sono, in via di massima, davvero importanti e primari: la vecchiaia che porta inesorabilmente alla solitudine, alla vedovanza, alla malattia terminale, a ridursi ad essere un ingombro scomodo come un pacco non desiderato nei confronti di figli ingrati e/o soggiogati dall’altro consorte.

Quando Pedro comunica ai suoi tre amici coetanei presso l’abituale ritrovo nel bar, di stare per morire in seguito ad un brutto cancro riscontrato durante l’ultimo controllo medico, il vecchio ordina immediatamente cinque tequila: non per offrirne ai suoi amici, che del resto rifiutano quell’offerta neppure per un attimo rivolta a loro, adducendo ognuno i propri problemi di salute.

I bicchieri infatti sono tutti per lui, per brindare alla fine di una vita, e raggiungere gli ultimi momenti di un’ebbrezza da tempo vietata da condizioni di salute comunque compromesse.

Poco dopo la bevuta, l’uomo si sente male e viene ricoverato in fin di vita all’ospedale, non prima di aver consegnato ad Emiliano, Benito e Agustin un vecchio fazzoletto con una dedica incisa da un noto cantautore già deceduto, di cui si sta allestendo un museo in una città a poche ore di autobus.

Compito dei tre vecchietti superstiti sarà quello di portare la reliquia presso il museo, ove piazzarla in modo che anche il nome di Pedro lasci, seppur indirettamente, una traccia indelebile lungo il suo lungo, ma di fatto breve e trascurabile, percorso terreno.

Ecco allora che il film si trasforma nel diario on the road dei tre vecchietti alle prese con un viaggio al di sopra della loro portata, condizionati come sono da acciacchi più o meno gravi, da problematiche economiche legate alle spesi di viaggio, soli, indifesi e pressoché dimenticati, o quanto meno non compresi da una umanità che non sa davvero più che farsene di loro.

Tra tassisti ingrati o inflessibili, ruspisti generosi, pittori inetti ma di buon cuore pur se con doppio fine, streghe emarginate che hanno capito molto dalla vita, bordelli in mezzo al deserto e quant’altro.

Distribuito in tutta fretta come scampolo estivo, il piccolo film messicano di Jack Zagha Kababie non racconta nulla di trascendentale e di nuovo, e dopo un caposaldo sulla vecchiaia come il Lynch commovente e d’annata di “Una storia vera”, letteralmente scompare solo a osarne un confronto.

Tuttavia questa commedia agro-dolce possiede alcuni momenti di grazia e dignità nel seguire il percorso dei tre vecchini, una sorta di re magi acciaccati e disfatti la cui figura incespicante risulta da lontano e di profilo - mentre procedono in processione uno dietro l’altro capitanati dal più compromesso fisicamente, ma anche il più indomito tra i tre, armato di girello inseparabile ed essenziale – molto efficace e suggestiva, cinematograficamente certo, ma anche umanamente.

 

 

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