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Southpaw - L'ultima sfida

Regia di Antoine Fuqua vedi scheda film

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La recensione su Southpaw - L'ultima sfida

di rflannery
6 stelle

Melodramma intenso, storia un po’ ovvia, regia più che discreta. Antoine Fuqua, regista sopravvalutato per chi scrive (Training Day, con cui fece il botto facendo vincere un Oscar a Denzel Washington, è un duro poliziesco lungi però dall’essere una pietra miliare del genere) dirige un film pieno di stereotipi del cinema della boxe. Non che sia un male in sé, anzi. Diversamente dal suo ultimo e brutto lavoro, Attacco al potere – Olympus Has Fallen, il regista afroamericano ha buon gioco nel conferire un forte realismo al suo film: le sequenze sul ring colpiscono e molto per la violenza dei colpi, per il ritmo concitato, per un ambiente – il Madison Square Garden a NY – adrenalinico. E tanto fa il protagonista, l’ottimo Jake Gyllenhaal, intenso e credibile. Su questo ragazzo, che anni fa scoprimmo per la prima volta poco più che adolescente nello splendido Cielo d’ottobre, vediamo tanto talento e una grande capacità di trasformarsi e di passare da un set a un altro diversissimi: basti pensare al lavoro sul corpo fatto per interpretare il reporter disturbato di Lo sciacallo. Con un altro interprete, meno capace e soprattutto meno vero, Southpaw sarebbe stato semplicemente uno dei tanti fratellini minori e venuti peggio di Rocky.
Così, invece, al film non manca intensità nonostante una sceneggiatura (firmate dal Kurt Sutter creatore della serie Sons of Anarchy) che confeziona subito un colpo di scena forte ma dalle conseguenze inverosimili e mette in fila tanti, troppi elementi già visti in produzioni del genere: il campione di boxe che cade rovinosamente per tutta una serie di motivi; e poi riesce a rialzarsi grazie alla famiglia e a un provvidenziale incontro con un coach pure lui ferito dalla vita. Insomma: il già citato Rocky, Million Dollar Baby e un’altra decina di film sul pugilato hanno raccontato più o meno la stessa storia con un’efficacia maggiore. Oltre all’originalità, a Southpaw manca una dimensione più profonda che nei film succitati rappresentava di fatto la colonna vertebrale. Rocky e anche, pure con risultati diversi, i suoi tanti sequel, mostrava la boxe come forma di riscatto personale e sociale con Stallone che prendeva a pugni il quartiere malfamato attraverso le botte all’avversario; il film di Eastwood usava il ring per parlare dei suoi temi cari (la solitudine, la perdita degli affetti, con toni elegiaci e struggenti); il recente The Fighter la buttava sulla famiglia come luogo principe di contrasti. Fuqua sembra prendere la strada alla Rocky, con il tratteggio di un uomo proveniente dai sobborghi arricchitosi improvvisamente e poi in caduta libera, ma il tutto è svolto in modo sin troppo programmatico (a partire dal nome del protagonista, Hope) per far scattare nello spettatore un’emozione sincera.

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