Regia di Antoine Fuqua vedi scheda film
Dal lusso di una vita agiata all'inferno e resurrezione, per un pugile che arriva a diventare campione del mondo dei pesi medi, per una rissa con lo sfidante, in un'escalation di assurdità parte un colpo di pistola che uccide la moglie del boxeur protagonista, e di lì guai a non finire. L'atleta, dotato di talento pugilistico ma di temperamento balzano, compie una sciocchezza dietro l'altra, sempre più gravi, finchè non perde tutto quel che ha, compresa la custodia della figlia. A terra nella vita come sul ring, non gli rimane altro che una sana dose di umiltà e ricominciare dal fondo, per riguadagnare il rispetto di se stesso, e quello che ha perduto. Vi sembra di averlo già sentito questo soggetto? Ma certo, è lo schema di "Rocky III" e di tanti altri drammi a sfondo sportivo. "Southpaw", che pare dovesse avere per protagonista, inizialmente, Eminem ed essere una sorta di sequel di "8 Mile", è un film sulla boxe, diretto da un regista non certo eccelso quale Antoine Fuqua, che forse è tra le cose migliori da lui girate: accolto da recensioni anche eccessivamente severe ( definito anche "il peggior lungometraggio sulla boxe mai realizzato"), ha il difetto, non da poco, di essere totalmente prevedibile, dal primo all'ultimo minuto. E' bravo Jake Gyllenhaal, ma non è una novità, ad aver messo su un fisico da guerriero del ring, come fece trentacinque anni fa Robert De Niro per "Toro scatenato", e la grinta che inietta nel personaggio è notevole: e le scene di boxe sono tra le più realistiche viste in una pellicola hollywoodiana, senza spettacolarismi, spesso mostrando i pugilatori in difesa e evitando di andare a faccia scoperta come in molti altri film. Sospeso tra la necessità di un messaggio edificante da spedire al pubblico, e la voglia di mostrare la rabbia che è necessaria ad un uomo di tale sport per riuscire ad affermarsi, è una pellicola che si fa vedere, ma non incide a fondo.
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