Regia di Antoine Fuqua vedi scheda film
Dramma sportivo in tre atti: ascesa, caduta e catarsi di un campione del mondo di pugilato che perde tutto e va a riconquistarselo sul ring. Che quello di Fuqua (per tutti ancora “il regista di Training Day”, nonostante abbia successivamente girato sette film) non sia un un cinema di sottigliezze e chiaroscuri è noto quanto pacifico. Qui, tra sangue, lacrime, sudore e abbracci, imbastisce un solido spettacolo hollywoodiano, ma, complice anche la deludente sceneggiatura di Kurt “Sons of Anarchy” Sutter, si fa fagocitare dall’enfasi inverosimile con cui tratteggia il labile confine tra gloria e disgrazia di un pugile cresciuto in orfanotrofio, diventato imbattibile e improvvisamente finito senza soldi, onore e famiglia. Costretto a ripartire da capo, scivola nei bassifondi, incrocia un mentore che gli insegna nuovamente a combattere e completa la parabola di redenzione, come un Rocky qualsiasi. Lasciando che l’efficacia della messa in scena, ispirata nell’alternarsi di impennate vorticose e compiuto classicismo, si infranga nei toni saturi di un dramma scontato e a tratti ricattatorio. Note a margine: nel gergo sportivo southpaw indica un mancino sfrontato e aggressivo. Inizialmente il protagonista doveva essere Eminem (!), la cui presenza ci ha lasciato in eredità la canzone dei titoli di coda; Jake Gyllenhaal è strepitoso come sempre; Forest Whitaker oltre alle smorfie sfoggia un occhio di vetro azzurro e Rachel McAdams indossa splendide scarpe.
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