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L'ultima onda

Regia di Peter Weir vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'ultima onda

di FABIO1971
8 stelle

Sydney. L’avvocato David Burton (Richard Chamberlain) accetta di difendere in tribunale un gruppo di aborigeni australiani accusati dell’omicidio di un loro compagno. Mentre un’improvvisa ondata di maltempo fuori stagione, con violentissimi temporali e grandinate, ha colpito l’Australia, Burton, interrogando i suoi clienti ed esaminando i rapporti della polizia e gli incartamenti sulla vicenda, si convince che gli accusati gli stiano nascondendo qualcosa:

“Qui c’è scritto che avete avuto una colluttazione con Billy Corman, l’avete gettato in una pozza d’acqua e lui è affogato. È così che è andata? Jerry?”.

“Non è andata così”.

“E allora come?”.

“Billy è morto e basta”.

“Come? Come è morto?”.

“Troppo da bere… la zuffa… Billy muore”.

Burton, di fronte all’ostracismo dei suoi assistiti, intenzionati a farsi condannare senza opporre resistenza, sospetta che l’omicidio abbia avuto a che fare con l’applicazione di qualche legge tribale, eventualità che a Sydney, secondo le autorità, sarebbe però impossibile: “La cultura tradizionale degli aborigeni sopravvive solo tra quelli di razza pura, su al Nord o in alcune parti del deserto: quelli tribali più vicini vivono a mille miglia da Sydney. Poi, quelli che qui chiamiamo aborigeni, sono culturalmente identici ai bianchi dei ghetti: distruggiamo la loro lingua, le loro cerimonie, i loro canti, le danze, nonché, naturalmente, le loro leggi tribali”. Burton, inoltre, è tormentato continuamente da strani incubi: in uno di questi gli appare Chris (David Gulpilil), uno degli aborigeni sotto accusa, e sempre nei suoi sogni - che Chris gli rivela trattarsi, in realtà, di premonizioni - gli viene mostrata una pietra con inciso un volto stilizzato, che poi scoprirà essere stata ritrovata tra gli effetti personali del defunto. Interroga Chris per provare a chiarire i misteri della vicenda:

“Ho fatto un altro sogno”.

“Tu fai sogni sui segreti: chi li conosce, muore”.

“Quali segreti? Se me lo dici, posso farvi assolvere. Avete ucciso un uomo!”.

“Ascoltami: vattene o morirai!”.

Burton non riesce a comprendere perché Chris si ostini a proteggerlo, finchè non apprende i motivi dietro il silenzio degli aborigeni:

“Forse sei Mulkurul”.

“Che cosa significa?”.

“Sei di una tribù diversa, vieni da un altro mondo, oltre l’oceano, dove sorge il sole”.

Burton, infatti, nato in Sudamerica, incarna per loro il ruolo fondamentale di un’antica profezia. Sempre più incredulo riceve da una studiosa di cultura e tradizioni aborigene, la dottoressa Whitburn (Vivean Gray), gli ultimi, incredibili dettagli per decifrare l’enigma che lo sta sconvolgendo:

“Gli aborigeni immaginano due forme di tempo, due flussi paralleli di attività: una è l’attività oggettiva giornaliera alla quale noi siamo confinati, l’altra è un ciclo spirituale infinito chiamato tempo dei sogni, più vero della realtà stessa. Quello che avviene nel tempo dei sogni stabilisce i valori, i simboli e le leggi della loro società primitiva. Certe persone con poteri spirituali insoliti hanno contatti con il tempo dei sogni?”.

“Come?”.

“Con i loro sogni, con cerimonie in cui figurano oggetti sacri, come queste pietre”.

“Qual è il nome di quello spirito?”.

“Il suo nome è una delle poche parole conosciute di una tribù che esisteva a Sydney… ora estinta, naturalmente”.

“Mulkurul?”.

“Mulkurul! È il nome dato agli spiriti che venivano da dove sorge il sole, portando con loro oggetti sacri, come queste pietre. Questa tribù credeva che i Mulkurul si esprimessero attraverso persone con poteri spirituali fuori dal comune”.

“Attraverso gli esseri umani?”.

“Sì, la credenza era che agissero attraverso esseri umani”.

“Uomini bianchi?”.

“No, in realtà non credo che qualcuno di noi abbia i poteri spirituali che i tribali si aspettano da Mulkurul. Un Mulkurul fa sogni premonitori incredibili: in genere appaiono alla fine di un ciclo, quando la natura deve rinnovarsi: queste culture primitive vedono la vita in cicli e ogni ciclo finisce con qualche specie di apocalisse, poi c’è la rinascita”.

“Che genere di apocalisse?”.

“Un cataclisma naturale, generalmente: freddo intenso, una piena, un nubifragio…”.

Burton non ha più dubbi: il segreto della tribù di Chris è legato all’acqua, causa delle terrificanti scene di distruzione che gli appaiono in sogno. Sarà ancora Chris, guidandolo all’interno delle grotte sacre della propria tribù, a mostrargli quale cataclismatica minaccia stia per abbattersi sulla città: “Un’onda… Un’onda! I sacerdoti sapevano dell’arrivo di un’onda!”

L’ultima onda (distribuito inizialmente negli Stati Uniti dalla United Artists con il titolo di Black Rain), terzo lungometraggio dell’australiano Peter Weir, tratto da un racconto breve di inizio decennio dello stesso regista, adattato in collaborazione con Tony Morphett e Petru Popescu, torna ad affrontare, controparte oscura e inquietante del precedente Picnic a Hanging Rock, i conflitti tra culture profondamente distanti (qui tra l’Australia moderna e la civiltà aborigena, con le sue apocalittiche mitologie), irrimediabilmente separate dall’avanzare del progresso. Il viaggio tenebroso intrapreso dal protagonista David Burton coincide, così, con l’esplorazione dell’ignoto e della natura, ritratta nella sua lussureggiante purezza ma sempre profondamente ostile (come in Picnic a Hanging Rock, appunto, ma anche in Mosquito Coast o, non ultimo, in Master and Commander), fino alla completa trasfigurazione distruttiva (l’ultima onda) del cataclismatico passaggio tra due ere su cui si chiude il film. Un’opera dal fascino ipnotico e conturbante, suggestiva e ispirata nell’immergere i misteri della vicenda in un controcanto fantastico ed enigmatico, in cui la presenza “fisica” dell’acqua (la grandinata iniziale, il traffico cittadino paralizzato dalla furia del temporale, la vasca da bagno in casa di Burton, con l’acqua che trabocca fino a gocciolare sulla moquette delle scale, i violenti acquazzoni notturni, le strade allagate, la pioggia di rane e quella di petrolio) e i fenomeni atmosferici ad essa collegati (il fragore assordante dei tuoni, i lampi, il vento) si trasformano in sinistri personaggi, evocando paure ancestrali e caricando le atmosfere di lugubri e angoscianti aspettative per l’imminente catastrofe, amplificate ulteriormente dalla ieraticità del ritmo del racconto, che si snoda, lento e sinuoso, con inesorabili progressioni drammaturgiche fino a caricarsi di una magistrale tensione spettacolare.
L'ultima onda si rivela, perciò, titolo imprescindibile all'interno della filmografia del suo autore prima della svolta hollywoodiana della carriera, sorretto da una regia sapiente e ispirata, aperto da un incipit folgorante (la grandinata sulla scuola), incorniciato dalla magnifica fotografia di Russell Boyd (fedelissimo di Weir) e contrappuntato splendidamente dall’ottima colonna sonora di Charles Wain (ovvero “Orsa Maggiore”, probabile pseudonimo, secondo alcune fonti, di Richard Wright, storico tastierista dei Pink Floyd), tripudio di affascinanti melodie elettroniche e stranianti distorsioni. Ottimo il cast, capeggiato dal protagonista Richard Chamberlain, qui in una delle sue migliori caratterizzazioni della carriera, che tratteggia con convincente intensità lo spaesamento e l’inquietudine che progressivamente travolgono il suo personaggio.

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