Regia di Marco Turco vedi scheda film
Né (tanta) rabbia, né (tanto) orgoglio. Nella versione cinematografica di L’Oriana (106 minuti, la metà di quella per la tv), il ritratto della più famosa giornalista del secolo breve appare sbiadito in un lungo flashback episodico. Non si può non tenere conto sia della necessità di dover raccontare una vita in pochi minuti sia della committenza televisiva che, per esempio, appiattisce il problema delle diverse lingue utilizzando solo l’italiano come fosse l’esperanto, nel giudicare un film che cerca disperatamente un’aderenza agli avvenimenti storici con una messa in scena inusuale, perché estremamente ricercata, tanto da non sfigurare in una proiezione in sala. Il film è stato girato nei luoghi che racconta, come il Vietnam, anche se poi, quando dovremmo essere ad Atene, compare uno scorcio riconoscibile del romano quartiere Della Vittoria. Il vero problema sta nella scelta di non raccontare fino in fondo un personaggio forte, nella sua cattiveria, nella sua antipatia, nella sua partigianeria, che l’interpretazione di Vittoria Puccini, dal carattere più fragile (in questo senso era più convincente la breve apparizione di Maria Rosaria Omaggio/Oriana Fallaci in Walesa - L’uomo della speranza di Andrzej Wajda), non riesce mai a far venire veramente fuori. E, in fondo, non viene neanche celebrata la sua vera passione, il giornalismo, rappresentato sempre in maniera bozzettistica senza l’epica che in quel momento storico indubbiamente aveva.
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