Regia di Bernard Rose vedi scheda film
Nella storia dell’uomo il tentativo di superare i limiti della propria condizione si è spesso trasformata in una lotta di pulsioni convergenti e opposte, in cui vita e morte si sono scambiate vicendevolmente il ruolo del vincitore. Di questo dualismo il personaggio di Frankenstein, creato dal calamaio dell’inglese Mary Shelley, ne è senza dubbio uno dei portati più conosciuti e celebrati per le molteplici trasposizioni cinematografiche e, più in generale, per l’influenza che ha avuto sulle arti e nelle lettere il mito di una scienza capace di invertire e controllare il naturale corso delle cose umane. Quanto mai attuale, per le discussioni generate dall’applicazione delle ultime scoperte in materia di genetica, l’utopia dell’uomo che si fa Dio ritorna in tutte le sue nefaste conseguenze nel Frankenstein scritto e diretto da Bernard Rose, noto ai più per aver firmato un horror – Candyman – di buon successo ed oggi sugli schermi con l’ennesima versione dei fatti a proposito del Dottor Frankenstein e della sua abominevole creatura.
Adottando il punto di vista del mostro invece di quello dell’ambizioso scienziato Rose cambia lo sguardo della storia ma non il suo svolgimento che, seguendo il canovaccio originale arriva alla fine assicurando ognuno dei personaggi al destino già scritto. Ora, tenendo conto che la validità di un simile progetto dipendeva non tanto dall’ortodossia filologica nei confronti del testo della Shelley ma, al contrario, dalla capacità del regista di trasgredirlo con un’efficacia in grado di giustificare l’urgenza dell’operazione, bisogna dire che ne l’ambientazione contemporanea e pauperista fornita dalla Los Angeles dei nostri giorni, ne l’aspetto da angelo caduto derivato dalla scelta di riservare al protagonista un’estetica raffinata ed efebica e la coscienza di un bambino appena nato riescono a farlo. Se a questo aggiungiamo l’incongruenza della voce fuori campo – dello stesso Frankenstein adulto e consapevole - che commenta fatti ai quali non è sopravvissuto il dado è tratto così come il giudizio sul film non certo positivo.
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