Regia di Dennis Hopper vedi scheda film
Nel capolavoro dimenticato di Dennis Hopper, il cinema è un’ebbra stonatura che si innesta sulla vita vera. Il set di un western americano collocato fra le montagne del Perù è una temeraria sfida culturale, ed una fonte di sogni deviati; l’esotismo è infatti una pozza fangosa da attraversare con prudenza, perché gli schizzi di terra vergine e superstizione, mescolandosi con le luci hollywoodiane, danno origine ad una micidiale miscela allucinogena. Si può restare per sempre irretiti dal fascino di un mondo selvatico che promette di offrire la ricchezza e la gloria del mondo civile; il miraggio di possedere, da un lato, una donna dalla femminilità primordiale e un paesaggio naturale incontaminato, dall’altro, una lussuosa villa con piscina, è l’aberrazione che cattura Kansas, il membro della troupe, che, dopo la fine delle riprese, decide di restare sul posto con Maria, la ragazza andina di cui si è innamorato. Un analogo sortilegio colpisce gli abitanti del luogo, che trovano, nella finzione scenica, un modello comportamentale da imitare ed un numero di magia da tradurre in un rito misterico. Le macchine da presa, i microfoni, i riflettori diventano gli strumenti di un gioco che comincia come una festa di piazza per finire nella leggenda popolare. I cowboy caduti sotto i colpi di pistola assurgono ad eroi di un culto della Passione, perché vengono uccisi in maniera drammatica e spettacolare per risorgere subito dopo. In un modo o nell’altro, l’illusione si impadronisce della realtà, e produce una perenne ubriacatura, in cui l’istinto e la ragione procedono sbandando ad ogni passo. Ben presto la gioia si sfalda in frivolezza, e gli impulsi degradano in volgarità, riducendo ogni cosa alla materia di una farsa grossolana: una commedia dell’assurdo i cui grotteschi protagonisti sono gli obiettivi smisurati e i loro ridicoli servitori. L’utopia di cui questi ultimi sono schiavi è il potere di creare il tutto dal niente, come avviene, prodigiosamente, ad ogni ciac: basta un cenno della regia o un trucco di montaggio per trasformare un vivo in un morto, o una singola pepita in una miniera d’oro. Il cinema è un artificiale acceleratore delle speranze, un catalizzatore della felicità che crea dipendenza, inducendo una diabolica forma di megalomania. E, in questo film, Dennis Hopper lo lascia parlare, attraverso il proprio corpo, col suo eloquio improvvisato e la sua voce rantolante, impastata del fumo di uno splendore che brucia in fretta ed emana un odore cattivo come una pellicola incendiata dal sole.
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