Regia di Stephen Kijak vedi scheda film
«All’inizio eravamo “costruiti”, non c’è dubbio. Ma anche Pinocchio era “costruito”. Poi si è trasformato in un bambino vero». Nella metafora patetica e accorata dell’ex-ex-Backstreet Boy Kevin, tornato all’ovile per il tour celebrativo dei 20 anni, c’è il senso del doc di Kijak: non il dietro le quinte della lavorazione di In a World Like This (l’album del ritorno, nel 2013), né la parabola di un gruppo che ha venduto milioni di copie per poi finire sullo scaffale della nostalgia anni 90. Filmando questi uomini alle prese con acciacchi fisici e psicologici del post-fama (la voce danneggiata di Brian, la disintossicazione di AJ), registrando il viaggio a ritroso nei luoghi dove sono stati reclutati, preadolescenti, per militare in estenuanti tour estivi, Kijak firma un ritratto antispettacolare, anche brutale, dell’industria della musica pop. Gli ex divi mettono in scena una versione di se stessi da reality show strappalacrime: piangono, pregano e bisticciano in favore di obiettivo, ma qualcosa di autentico (e spettrale, struggente perfino) c’è, nelle visite ai sobborghi dove sono cresciuti, alle scuole di ballo di provincia: relitti di un’America pre-11 settembre, la storia di una perdita dell’innocenza attraverso gli occhi di un gruppo di ragazzini tirati dai fili di manager Mangiafuoco, come nella parodia di una fiaba. La scena in cui vagano nella villa fantasma di Lou Pearlman, l’uomo che ha sottratto loro milioni di dollari, in carcere dal 2006 per truffa, vale il film.
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