Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film
Nella Hollywood degli anni ’50, il produttore Eddie Mannix (realmente esistito) lavora giorno e notte per gli studios, ha un tale senso del dovere da confessarsi per le più piccole manchevolezze e deve risolvere ogni tipo di problemi: il protagonista del peplum Ave, Cesare! viene rapito dai comunisti (!), un divo del western si rivela incapace di recitare in una commedia, una star deve nascondere il bambino partorito da nubile; intanto la Lochkeed gli fa una proposta di lavoro che gli consentirebbe di sistemarsi per il resto della vita. Il film è la consueta virtuosistica esibizione di bravura da parte dei Coen, a volte un po’ fine a sé stessa ma sempre gradevole. La parte più gustosa è la ricostruzione del clima dell’epoca, con precisi riferimenti a generi, titoli e persone: i kolossal fantabiblici (Ben-Hur e La tunica), le commedie sofisticate alla Lubitsch, i musical acquatici con Esther Williams e quelli classici di Donen (in particolare Un giorno a New York), i western di serie B e una Louella Parsons sdoppiata per l’occasione. La trama, se così vogliamo chiamarla, è sfilacciata: tenta di usare la valigetta piena dei soldi del riscatto come filo conduttore, come ai bei tempi del Grande Lebowski, ma approda a una prevedibile dichiarazione di fede (“fede”, ironia della sorte, è la parola che Clooney non riesce a ricordare nella scena madre) nel cinema come fabbrica di sogni: oggi suona anacronistica, ma forse negli anni ’50 si poteva ancora far finta che il cinema non fosse un’industria tale e quale a quella aeronautica.
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