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Ave, Cesare!

Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film

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La recensione su Ave, Cesare!

di supadany
6 stelle

I primi anni cinquanta degli Studios americani rivisitati dai fratelli Coen che ne approfittano per ripercorrere le loro tematiche predilette con un cast affollato di loro habituè. Più fumo che arrosto.

Sulla carta, trailers alla mano, un film in “libera uscita” per i fratelli Coen, in realtà un po’ ovunque sbucano tante tematiche a loro storicamente care ma se la pietanza appare abbondante sembra che lo chef abbia fatto più fatica del solito a trovare un’alchimia tra le diverse spinte e le chiavi di volta.

La vita lavorativa di Eddie Mannix (Josh Brolin) presso i Capitol Studios è intensa, impegnato com’è nel controllare che tutto fili per il verso giusto, che le star mantengano la loro figura pubblica illibata e che le produzioni possano viaggiare spedite (verso il successo).

Quando sparisce dal set il divo Baird Whitlock (George Clooney), Eddie prova a nascondere tutto pensando si tratti della solita fuga per sbronzarsi ma ben presto riceve una richiesta di riscatto.

Non sarà l’unica cosa importante a cui pensare.

 

Scarlett Johansson, Josh Brolin

Ave, Cesare! (2016): Scarlett Johansson, Josh Brolin

 

Coen in versione (fino ad un certo punto) scanzonata, con gli occhi puntati nello specchietto retrovisore verso l’ambiente che ha loro regalato infinite fortune; fin qui tutto bene se non che li ritroviamo con brio limitato, svagati come nemmeno nei loro lavori più elementari (penso ad esempio a “The Ladykillers”, 2004) è capitato come se ci avessero ragionato troppo o in alternativa troppo poco (in mezzo si sono impegnati nelle sceneggiature di “Unbroken” e “Il ponte delle spie” cambiando in corso di stesura più elementi, come il periodo d’ambientazione).

La sceneggiatura richiama molti aspetti (navigati o abusati) del cinema dei fratelli Coen; la circolarità (qui il confessionale), schegge di humour mescolato a riflessioni (la combriccola comunista) e a qualche venatura noir, e la coralità, che alla fine da praticamente (quasi) a tutti un ruolo attivo e non solo di riempimento (in questa categoria invece inserirei Frances McDormand e Ralph Fiennes), ma tutti questi aspetti sono legati tra loro flebilmente.

Le carte migliori sono rappresentate dalla diversità tra immagine e sostanza (basta vedere quanto ci mette il personaggio di Scarlett Johansson a cambiare cera durante le riprese), gli studios grandiosi di un mondo che non c’è più (una distesa uniforme di costruzioni che nascondono al loro interno la meraviglia della finzione), l’attore “cane” (che nell’unica occasione seria in cui è coinvolto fa vedere di non essere così stupido, semplicemente è inetto a recitare) e la disquisizione religiosa a quattro, decisamente attuale, per quanto i protagonisti siano legati ad un periodo lontano nel tempo, che però non s’incendia

Principalmente viene rimodellato il cinema americano che fu con sguardo gioioso e giocoso, dove tutto va semplicemente come deve andare (altro aspetto tipicamente "Coen", il destino è ineludibile), ma senza una folle, auspicabile ispirazione, capitalismo e comunismo si spintonano e la routine senza possibili intoppi è squinternata ai limiti dello sclerotico per cui una richiesta di riscatto viene esaudita senza troppe riflessioni (calcoli alla mano, c’è un film da finire).

Senza soppesare solo il mito che fu, un omaggio alla Hollywood dei grandi studios e dei (sub)generi (ad esempio l’acqua musical) che hanno spopolato per breve tempo, con un affettuoso sguardo d’insieme (nei meriti così come nei difetti), ma che non trova una sintesi (in fondo la traccia principale è debolissima), ma soprattutto latitano coesione e comunicazione degli intenti per cui alla fine l’opera non riesce a fuoriuscire dai binari se non per brevi sagaci incursioni (su tutte, occhio ad un sottomarino).

Moderatamente divertente, con tanti spunti raramente portati a destinazione.

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