Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Alejandro: Trasferisciti in una città piccola dove le leggi hanno ancora un senso. Qui non sopravvivrai: non sei un lupo e questa è una terra di lupi, ormai.
Taylor Sheridan decide di iniziare la sua trilogia informale sulla frontiera americana a partire dall’ormai noto confine USA-Messico, terra di frontiera oggetto di dibattiti internazionali e soprattutto interni agli stessi Stati Uniti, che tra retorica, miti e realtà, celano i reali meccanismi di potere alla stragrande maggioranza della popolazione americana nel gestire quel lembo di terra che separa per 3.145 km due nazioni mediamente giovani immerse perennemente in uno stato di belligeranza.
Lo sceneggiatore americano curioso e conscio dell’attuale status dell’America profonda, decide di offrire uno sguardo allo spettatore medio su quel confine così lontano dalla sua quotidianità, ma così violento, disumano, ripugnante e terribile per tutti coloro che ci vivono e che ci combattono ogni giorno.
Per rappresentare cinematograficamente questo particolare scenario lontano dalla relativa tranquillità e dalla condizione post-storica delle coste statunitensi, Taylor Sheridan decide di affidare la direzione artistica di questa sua prima sceneggiatura a Denis Villeneuve, regista canadese ormai in ascesa nell’industria hollywoodiana grazie ai suoi meravigliosi thriller d’atmosfera che si sposano perfettamente con la formula action-thriller dello script di Sicario, trasportando dunque dal Canada al Messico l’occhio “estero” di un regista che non si riduce a mero mestierante di un progetto altrui ma che anzi, dona ulteriore personalità e forza vitale al lungometraggio pensato da Taylor Sheridan, dove quest’ultimo imparerà maggiormente i ferri del mestiere di un regista proprio da questa sinergica cooperazione che porterà anche altri collaboratori “villeneuviani” nel dare il definitivo lustro al primo capitolo della sua trilogia sulla frontiera americana.
La trama narra la storia dell’agente FBI di Phoenix (Arizona) Kate Macer, che dopo una delicata operazione all’interno di una abitazione controllata da una cellula del narcotraffico dei cartelli della droga messicani all’interno degli Stati Uniti, assiste ad un’esplosione di una bomba piazzata dai narcotrafficanti che uccide due agenti della sua squadra.
Richiamata dai suoi superiori insieme al suo collega Reggie Wayne per fare rapporto, viene persuasa ad entrare in una speciale task force capeggiata da un apparente agente governativo di nome Matt Graver, per colpire direttamente i veri colpevoli della bomba esplosa poco prima e che stanno al vertice dei cartelli della droga messicani.
L’obiettivo della speciale Task Force americana guidata da Matt Gaver affiancato da un misterioso colombiano di nome “Alejandro”, è quello di compiere una semplice missione al di là del confine nel prelevare il fratello di uno dei bracci destri del “boss” del cartello messicano a cui danno la caccia, in modo da poterlo estradare dal Messico agli Stati Uniti per estorcergli informazioni preziose sull’ubicazione dei traffici loschi nel confine USA-Messico e per localizzare il suo boss in modo da eliminarlo per sempre e porre “fine” alla guerra al narcotraffico che sta insanguinando sia Stati Uniti che Messico.
Con l’avanzare delle missioni sempre più discutibili sul piano morale per il modo efferato con sui si raggiungono determinati obiettivi per abbattere i cartelli della droga, Kate Macer e il suo collega Reggie Wayne scopriranno di essere soltanto delle pedine in un gioco più grande di loro, scoprendo un mondo disumano e lontano dai canoni morali della civiltà a cui sono normalmente abituati.
Sicario diretto da Denis Villeneuve e firmato dalla solidissima sceneggiatura di Taylor Sheridan, si dimostra un action-thriller davvero sorprendente per il suo profondo scavo psicologico dei personaggi e dal suo arguto sguardo sociopolitico e geopolitico sulla frontiera USA-Messico davvero raro nell’odierno Cinema hollywoodiano, dove l’azione viene accompagnata sapientemente da una costruzione della tensione sia psicologica sia cinetica davvero mozzafiato, che grazie anche alla splendida fotografia in stato di grazia di Roger Deakins (assiduo collaboratore di Villeneuve a Hollywood fino a Blade Runner 2049) e alla cupa ed incalzante colonna sonora di Jóhann Jóhannsson (anch’esso assiduo collaboratore di Villeneuve a Hollywood purtroppo morto prematuramente), immerge totalmente lo spettatore nella frontiera USA-Messico in uno scenario quasi post-apocalittico dato dalle inquadrature panoramiche su ampi deserti che soffocano sia le esigue ma spaziose città popolate dagli americani sia le rurali città messicane, che però sono schiacciate al loro interno in vicoli stretti assediati dai cartelli della droga che esibiscono cadaveri appesi sotto i ponti per scoraggiare “i pirati americani” nell’interferire nel loro dominio territoriale.
L’agghiacciante ricostruzione e ripresa di questa selvaggia frontiera che divide le due nazioni nordamericane è funzionale nell’esplicare la natura violenta e malvagia che devono assumere entrambi gli schieramenti per sopravvivere in una dolorosa “coabitazione”, in cui sia gli apparati americani guidati da Matt Graver sia i cartelli della droga, non vogliono assolutamente che lo stato di belligeranza permanente che affligge i due Stati finisca, perché né l’uno né l’altro vogliono perdere le rendite che questo conflitto latente produce e dunque entrambi si operano di guerre ibride per imbastire una sorta di ordine al caos dove la morale viene completamente abbandonata per seguire la scientifica regola dell’utile.
In questo meccanismo morboso “controllato” dai governativi di entrambi i paesi distanti dalla sensibilità del cittadino comune, si inserisce la nostra protagonista femminile Kate Macer, che incarna la morale dello spettatore in quanto ella stessa ignara e poi conscia del sistema marcio e malato che sorregge l’equilibrio di potere nel gestire questa “terra di lupi”.
La discesa in questo incubo ad occhi aperti in netto contrasto con le solari riprese delle operazioni della task force in “territorio nemico” e molto più affine con le riprese nei cunicoli bui e sporchi in cui i cartelli messicani passano il confine senza essere scoperti dalle autorità, è messo in scena magistralmente dalla regia di Villeneuve che unisce perfettamente i momenti più thriller con quelli più action, senza sminuire né l’uno né l’altro aspetto della pellicola, in modo da portare lo spettatore con lo sguardo di Kate a scoprire pian piano sia la violenta corruzione dilagante nel tessuto sociale messicano sia nella maligna e conscia violenza del potere americano che fa di tutto pur di alimentare le ingiustizie, soprattutto in queste terre di frontiera che non si allontanano molto dall’instabilità dei territori occupati militarmente dagli USA quali Iraq e Afghanistan, dove il disagio sociale è al massimo della sua manifestazione.
Sicario (2015): Emily Blunt
Sicario (2015): scena
Lo scontro però non è soltanto esterno e circoscritto alla guerra al narcotraffico, ma anche all’interno degli stessi apparati governativi di cui Kate e il suo collega Reggie incarnano il lato più ingenuo e benevolo credendo fermamente nell’etica del loro lavoro, ma che viene totalmente distrutta dal cinismo e dall’opportunismo dell’altra fazione che tiene le redini della task force, ovvero Matt Gaver e Alejandro, che non sono nient’altro che “operatori” della CIA che hanno semplicemente sfruttato i due agenti dell’FBI per operare sul suolo statunitense.
La determinazione e la volontà di Kate nel ricercare la verità in tutta questa operazione senza regole e guidata dal puro istinto omicida verso i “nemici” dello Stato, la porteranno verso un percorso senza via di ritorno dove il suo corpo, il suo spirito combattivo e il suo codice morale cominceranno ad indebolirsi e a sbiadirsi in un mondo sempre più grigio fatto di sole prede e predatori.
La nostra protagonista dunque rappresenta l’anima più innocente che da ingenua cacciatrice diventa esca e poi preda stessa, rischiando addirittura di essere eliminata dallo stesso Stato che intendeva servire e che si serve di qualsiasi persona disposta a “risolvere” un particolare problema, in modo da tenere viva un macchina del potere che sfrutta i propri sottoposti dandogli qualsiasi mezzo per eseguire gli ordini senza fare troppe domande.
L’accentuato degrado fisico e il tracollo psicologico che si assiste su schermo dell’agente FBI Kate Macer interpretata sorprendentemente da una buona Emily Blunt, non può che colpire l’emotività e la desolazione interiore dello spettatore, che grazie anche ad una femminilità tosta e fragile contrapposta ad un machismo svuotato di ogni umanità che detiene il vero potere delle istituzioni (e del mondo), fornisce il giusto interlocutore allo spettatore con cui empatizzare e reagire alla razionale spietatezza dei personaggi maschili quali Matt Gaver e Alejandro.
Sicario (2015): Emily Blunt
Sicario (2015): Emily Blunt
Il primo interpretato da un ottimo Josh Brolin, è il classico agente del governo militarista disposto a tutto per ottenere ciò che vogliono gli alti comandi che lo incaricano di sguinzagliare i suoi uomini della CIA in territorio messicano, mostrando una genuina lucidità strategica nel dirigere le operazioni militari per mantenere un certo ordine nel caos e un innato carisma strafottente nel liquidare a poco prezzo qualsiasi istanza di Kate, dimostrandosi un uomo cinico, metodico, intelligente e fedele ai dogmi del “deep state” americano.
Sicario (2015): Josh Brolin
Il secondo invece interpretato da un magistrale Benicio del Toro, è il lato più oscuro ed eversivo dell’intera pellicola in quanto “assassino legalizzato” dallo Stato ossia un vero e proprio “Sicario”, un cane sciolto che non ha nessuna bandiera se non la propria dopo lo sterminio della sua famiglia da parte dei cartelli messicani, e che ora lavora per qualsiasi organizzazione in grado di soddisfargli la sua sete di vendetta dimostrandosi il “lupo” più spietato nonostante abbia un suo controverso codice morale.
L’interpretazione che regala l’attore ispanico è veramente disarmante, che col suo solo volto serioso e disincantato riesce ad esprimere tutta la vuotezza di un animo nero ormai votato esclusivamente alla morte in netta contrapposizione allo sguardo combattivo di Kate, che però nel loro ultimo faccia a faccia, condividono la stessa disillusione quasi come se fossero padre e figlia per un brevissimo istante, che si lasciano però con un dialogo finale straziante che non regala nessuna speranza in un modo profondamente corrotto e disfunzionale.
Sicario (2015): Benicio Del Toro
Sicario (2015): Emily Blunt
Sicario ci dimostra come il confine che divide gli Stati Uniti e il Messico sia labile e poroso al di là delle retoriche trumpiane che si basano esclusivamente su un discorso politologico semplicistico che non coglie la complessità geopolitica della posta in gioco, né potrà risolvere le cogenze strutturali sociopolitiche di quella frontiera segnata da barbarie con un alto tasso di omicidi che porta una nazione del “Primo Mondo” ad assomigliare più ad una del “Terzo Mondo”, che a confronto la nostra questione dei migranti del Mediterraneo è un giochetto da ragazzi.
Taylor Sheridan invece coglie perfettamente la profondità, le fragilità, le faglie, gli scontri, le partite decisive che si giocheranno nel lungo termine in quel lembo di terra che si dovrebbe chiamare casa, ma che in realtà è una zona di guerra a “bassa intensità” che potrebbe strappare da un momento all’altro i padri dai loro stessi figli come ci illustra egregiamente la sottotrama del poliziotto-padre corrotto “Silvio”, che si incastra spietatamente con la trama principale mostrando le sacrificabili pedine di un gioco a colpi di proiettile che mai si esaurirà perché gestito scientificamente per durare per sempre.
Sicario (2015): scena
Sicario (2015): Benicio Del Toro
Insomma, Sicario è un profondo trattato di impegno politico che si mescola con la spettacolarità della Settima Arte, che da enfasi alla sua critica antimilitarista e di denuncia di un sistema opprimente che continua oggigiorno a mietere migliaia di vittime al mese, e che offre pure un interessante spunto geopolitico su cui riflettere per comprendere al meglio l’estrema importanza di questa porzione di mondo.
Gli Stati Uniti, unica superpotenza del pianeta dunque impero fattuale e massima forza assimilatrice del mondo, ha nella sua pancia ormai più di 60 milioni di ispanici ovvero il 19% della popolazione totale costituendo la più grande minoranza del paese, che nel lungo termine costituirà un grande dilemma per la nazione visto che la cosiddetta maggioranza bianca (con una preminenza germanica) si sta sempre più restringendo perdendo lentamente il suo status di ceppo dominante della nazione.
Il confine USA-Messico diventa così la partita geopolitica più importante per gli Stati Uniti (altro che lo scontro di civiltà con la Cina che non riuscirà mai insieme alla Russia a scalfire il primato geopolitico statunitense a meno che non scoppi una guerra nucleare, ma in quello scenario sarebbe la fine per tutti) che spaccati tra una politica immigratoria di assimilazione per mantenere giovane e violenta la nazione in modo da mandarla sempre in guerra e mantenere il canone “bianco” dominante nel paese, dovranno decidere definitivamente come affrontare la “questione ispanica” all’interno dei propri confini nazionali, che già col “famoso” muro hanno l’obiettivo di creare una vera e propria barriera “fisica” tra i “parenti messicani” e “la prima generazione” che nascerà negli USA, in modo che i futuri figli/nipoti ispanici (i cosiddetti “chicanos”) di cittadinanza americana perdano qualsiasi forma di alterità con lo Stato americano recidendo così ogni rapporto con la “vecchia patria”, massimo imperativo strategico di ogni potenza imperiale che deve inserire dolorosamente nel ceppo dominante della propria nazione qualsiasi minoranza in modo che possa servire unicamente lo Stato in cui risiede.
Il perenne stato di belligeranza all’interno degli USA, soprattutto nella frontiera con il Messico e nell’America profonda, è dunque la condizione necessaria per coltivarsi superpotenza assoluta in modo da avere una popolazione mediamente giovane, violenta e preparata per eventuali guerre in giro per il mondo, in cui le minoranze dovranno per forza assimilarsi al canone dominante, pena l’emarginazione dalle istituzioni e dalla società americana.
Taylor Sheridan è consapevole di questa condizione strutturale della nazione americana, che col suo primo capitolo chiamato “Sicario” darà inizio ad una trilogia informale con lo scopo di scrutare il vero volto della frontiera americana che rappresenta di fatto il nocciolo imperiale su cui si fonda l’ingiustizia e la potenza geopolitica Made in USA.
Soldado (2018): Josh Brolin, Benicio Del Toro
L’ottimo successo al botteghino e il carismatico duo composto da Josh Brolin e Benicio del Toro, portano Taylor Sheridan e la produzione alla realizzazione di un sequel di Sicario chiamato Soldado diretto dal connazionale Stefano Sollima, compiendo un buon risultato nell’umanizzare e approfondire i personaggi di Alejandro e Matt Graver, che potrebbe portare ad un interessante terzo capitolo a questa sotto-duologia, anche se il Sicario villeneuviano secondo me rimarrà insuperato nella futura trilogia o saga “narco-ispanoamericana”.
Voto 8.5
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del regista ho visto qualcosa anch'io comunque complimenti per queste rece cosi' ben articolate....un po' ti invidio perche' non io non ne sono capace....ciao
Grazie mille Ezio per i tuoi complimenti, cerco sempre di dare il massimo a voi "utenti" di Filmtv, spero ti sia stata d'aiuto questa mia recensione "diversa" dal solito ;)
Se ti può consolare, anch'io posseggo un dono della sintesi come il tuo, però tendo sempre a strafare perché non mi accontento di poche righe nel commentare qualcosa e dunque passo ore ed ore a scrivere una recensione. Dipende molto quindi dalla passione che ci metti dentro e dalle cose che vuoi dire sul film, e forse io tendo "strafare", ma che ci posso fare, sono fatto così ;)
E non solo nelle recensioni, ma anche nei commenti alle recensioni :D
In ogni caso i pareri sintetici sono anche più "arguti" ed "efficaci" rispetto a certi papiri, e tu sei un maestro in questo.
Un caro saluto e alla prossima rece ;)
E poi ci sono le recensioni di lunghezza media che, quando riescono bene, stanno in cima alle mie preferenze. Per esempio, con la stessa frase "Trasferisciti in una città piccola..." ha inizio quella scritta da munnyedwards a gennaio 2019 che ho riletto e mi sembra bellissima. Dimmi se sei d'accordo.
https://www.filmtv.it/film/74278/sicario/recensioni/943775/#rfr:user-79051
Naturalmente, complimenti sentiti anche da parte mia per questa tuo approfondimento apprezzabilissimo. Il film piacque molto anche a me .
Esatto cherubino, ci sono ancora le mezze stagioni ;)
Ho letto con piacere quella recensione proprio adesso, molto ben argomentata e costruita, emozionale e pungente ai punti giusti per dare l'idea del tutto.
Di solito non leggo le recensioni sui film che non ho ancora visto (ma capita anche di leggerle in alcuni casi) e non leggo recensioni su film che vorrei recensire nel breve termine proprio per non farmi influenzare nella scrittura e nel giudizio complessivo dell'opera.
Una volta finita la "visione" però mi fiondo subito a leggere i pareri degli altri ;)
Ti ringrazio cherubino per il tuo passaggio e per i tuoi complimenti, spero di essere stato all'altezza del mio umile compito di recensore filmtv!
Alla prossima recensione :D
il mio film preferito di Villeneuve. hai scritto una recensione davvero stupenda e colma di approfondimenti che ho letto con estremo piacere. ho trovato le cartine tematiche e la documentazione estremamente interessanti :D
un saluto
Grazie Genga per i tuoi bellissimi complimenti riservati per questo mio scritto (che puoi trovare anche sul mio blog ;D) e sono davvero sorpreso di questa tua preferenza villeneuviana :D
Pensa che il mio preferito è Blade Runner 2049, ma qui sono di parte, forse oggettivamente il suo migliore è "La Donna che canta".
In ogni caso è un regista che io adoro alla follia, apprezzo ogni suo film, Sicario si trova all'ultimo posto nella mia classifica di gradimento e questo la dice lunga sulla qualità altissima di questo regista! La vera alternativa a Nolan direi ahahha ;)
Comunque se ti può interessare visto che hai apprezzato tantissimo le "cartine", ti dico che provengono e dunque "realizzate" dalla cartografa Laura Canali della rivista di geopolitica "Limes" che io seguo costantemente, tant'è che ho una ventina di loro libri nella mia libreria in camera ahahah.
Per me la geopolitica è una disciplina fondamentale per comprendere a 360 gradi il mondo di oggi perché va oltre l'aspetto "politologico" ed "economico" che è molto limitante secondo me per comprendere le dinamiche del globo.
Ti ringrazio nuovamente per il tuo apprezzamento felicissimo e alla prossima Genga :D
Blade Runner 2049 l'ho apprezzato molto proprio per via del regista, quindi probabilmente è il mio secondo film preferito di Villeneuve. trovo anche io che sia un'ottima alternativa a Nolan e per certi versi, almeno per quanto riguarda opere realizzate negli ultimi 10 anni, trovo che gli sia anche superiore. nonostante abbia trovato Arrival interessante ma stucchevole (più per via della sceneggiatura che per il resto), non vedo davvero l'ora che esca Dune. potrebbe rivelarsi un film davvero notevole, e lo dico da fan del film di Lynch seppure tutti sappiamo quanti buchi abbia qua e la il film. un saluto :)
Divide et impera funziona sempre e gli americani sono maestri in ciò. La CIA poi occupa il Sancta Sanctorum di tale arte.
Quindi il muro servirebbe per impedire agli immigrati di tornare piuttosto che impedire ai migranti di arrivare. Interessante....
Divide et impera, gli americani l'hanno imparato dai romani ehhehe, infatti il loro imperativo strategico è che nessun attore globale domini il proprio continente di riferimento, tant'è che l'incubo di Washington è vedere l'asse Berlino-Mosca-Pechino concretizzarsi militarmente ed economicamente insieme a Turchia e Iran.
"Quindi il muro servirebbe per impedire agli immigrati di tornare piuttosto che impedire ai migranti di arrivare. Interessante...."
Hai colto perfettamente il senso obyone, complimenti per l'arguta osservazione.
Gli Stati Uniti non possono rinunciare all'immigrazione che è la loro principale fonte demografica per tenere giovane, violenta, popolosa e ricca di" know-how" la loro popolazione, in modo che sia preparata sempre ad una potenziale guerra, pena la fine del loro stesso "impero" globale che si regge sul loro strapotere militare nel globo (e la guerra la fai con i giovani e non con gli anziani).
Il grande dilemma degli Stati Uniti è che questa immigrazione sta lentamente cambiando il genoma della loro nazione dove la sempre più stringente maggioranza "bianca", che è il ceppo dominante degli USA, si sente sempre più "persa" e "frustrata" per questo grande fardello imperiale, tant'è che in questo periodo molto stressante e rancoroso per la popolazione americana si parla di "fatica imperiale", che viene scaricata sugli strati più poveri della nazione (e da qui le ingiustizie sociali strutturali necessarie per fomentare violenze [come l'uso legale delle armi e la sanità privatizzata] e portare ad una aspettativa di vita del popolo americano ridotta rispetto al "resto dell'Occidente").
Il paradigma e lo "slogan" "America first" rientra dunque nel profondo malessere sociale della "white trash" nei confronti anche di questa violenta politica di "assimilazione" (diversa "dall'integrazione" che pratichiamo invece noi europei) che l'America sin dagli albori ha adottato per recidere il legame degli immigrati con la loro "vecchia patria", che è l'imperativo strategico di qualsiasi potenza imperiale che ha bisogno di assimilare le minoranze nel proprio ceppo culturale ed etnico dominante per tenere compatta e omologata la propria popolazione, in modo che non si conservino delle "alterità" separatiste all'interno del proprio Stato.
Gli USA l'hanno già fatto con gli italiani, i francesi, gli spagnoli, i polacchi, gli ebrei, i russi, gli afroamericani, gli asiatici, i tedeschi (la più dolorosa assimilazione della storia degli USA in vista delle due guerre mondiali, tant'è che molti tedeschi hanno dovuto "anglicizzare" i propri nomi e cognomi, smettere di parlare la propria lingua, abbandonare i loro usi e costumi, e addirittura furono internati in veri e propri "campi di concentramento/rieducazione", tant'è che non si parla quasi mai fieramente delle origini "germaniche" di un americano, infatti i "deutschamerikaner" vengono definiti "la maggioranza silenziosa"), e ora lo devono fare con gli ispanici che però a differenza di tutte le altre "etnie" citate sopra, mostrano ancora una forte resistenza all'assimilazione americana conservando dapprima la loro religione cattolica, poi la loro lingua, cultura e il mito del "Grande Messico" ossia una "reconquista" culturale dei messicani-americani sugli ex territori del Messico persi nella famosa guerra del 1846-1848.
Per gli Stati Uniti dunque sono un grave problema perché costituiscono una pericolosa "alterità" al canone culturale dominante statunitense, ed infatti l'obiettivo federale sarà quello di creare un vero e proprio "diaframma" tra i "chicanos" (i figli/nipoti messicani con cittadinanza americana) e i loro "genitori/nonni" col muro del Messico, permettendo dunque di "entrare" (guadagnando manpower "gratuito" e alto tasso di natalità essenziale per la sopravvivenza imperiale americana), ma non di "uscire" (o almeno ci provano, le leggi trumpiane servivano proprio per separare violentemente i "figli" [da indottrinare "all'american way of life"] dai genitori [da sfruttare per poi eliminare dalla memoria USA e tenersi la manodopera "fresca e giovane", futura classe dirigente del paese]).
Concludendo, il "diaframma" dell'Oceano Atlantico ha aiutato a facilitare l'assimilazione degli immigrati europei e degli "schiavi" africani, lo stesso però non si può dire degli ispanici specialmente provenienti dal Messico, che invece condividono un confine terreno e molto vicino agli USA. Per questo il muro "prova" ad attuare questa violenta separazione, anche se i risultati non sempre sono quelli sperati.
Scenari assurdi questi per noi europei (per fortuna) che seguiamo la via dell'integrazione, una via ben più pacifica e "cosmopolita" perché consente di conservare "l'alterità" dell'immigrato nel partecipare alla vita sociale del paese. Lusso che in altri paesi "imperiali" non si possono permettere come Iran, Cina, Turchia e Russia che devono compattare la propria nazione per tenere vivo l'impero e dunque la loro potenza geopolitica.
Mi fai venire i brividi. Studi all'università sta roba?
Quindi dividi ed impera sul globo e dividi ed impera tra le razze del proprio paese affinché i bianchi restino la prima etnia. Permettimi però di dire che sul fronte interno la filosofia adottata fa acqua da tutte le parti. Ad esempio: sempre più stati centrali conservatori che aboliscono l'aborto come se ad abortire fossero le donne bianche. Una legge che farebbe crescere proprio quelle minoranze che preoccupano la maggioranza bianca perché in mancanza dell'interruzione della gravidanza ci sarebbero ben più ispanici e neri che bianchi.
Ti faccio venire ancor più brividi: no, non la studio all'università sta roba, magari, tutto è frutto da uno "studio" autodidatta sulla ventina di volumi della Rivista italiana di geopolitica "Limes" che ho acquistato nell'arco di 4 anni (dal 2016 ad oggi), oltre che a tenermi informato sul loro sito ufficiale e sui loro autorevoli interventi e conferenze nei canali ufficiali di YouTube.
Da sempre sono stato un appassionato di Storia e così ho scoperto questa splendida disciplina che è la Geopolitica, che finalmente riusciva a coniugare i miei studi sul passato contestualizzandoli sulle dinamiche storiche del presente.
Questa disciplina nacque tra fine Ottocento e inizio Novecento in Europa, per poi "cristallizzarsi" durante la "Guerra Fredda" in quanto vista come una disciplina appartenente al passato "nazifascista".
Perché ciò avvenne?
Per rispondere a questa domanda bisogna risalire alla definizione di "Geopolitica" ovvero quella disciplina (da non confondersi con la politica internazionale o la geografia politica) che studia le relazioni di potere e le costrizioni tra due o più Stati in un determinato spazio geografico nel senso più esteso del termine, quindi non solo contando il territorio fisico ma anche quello culturale e umano, che non conosce dunque confini ben definiti. In sostanza è dunque uno studio strategico e tattico che gli Stati devono adottare per gestire la propria influenza politica, economica, militare, culturale, demografica, informatica, industriale etc etc in un determinato contesto "geopolitico" che obbliga gli stessi ad un'analisi oggettiva della realtà e delle forze in campo.
Per questo fu osteggiata come disciplina durante la "Guerra Fredda" bollandola come "nazifascista", perché le due superpotenze dell'epoca, USA e URSS, erano le uniche a praticare la geopolitica, mascherandola attraverso una accattivante ed efficiente retorica ideologica ovvero la "liberal-democrazia" per "il blocco occidentale" e il "comunismo" per il "blocco orientale".
Finita la Guerra Fredda e iniziata la globalizzazione (la pax americana) non c'era più motivo di mantenere una tale impalcatura ideologica, e in un mondo più "libero", globale, frammentario e in costante mutamento, ogni singolo Stato ha avuto un proprio "risveglio" dal disgelo dei due blocchi, operando dunque sempre più autonomamente riscoprendo consciamente o inconsciamente i ferri del mestiere della geopolitica.
Per descrivere la situazione di oggigiorno la Geopolitica rientra dunque nei dibattiti internazionali (spesso sovra-utilizzata impropriamente) essendo fondamentale a cogliere le cogenze strutturali delle nazioni, al di là di discorsi politologici-retorici-ideologici od economicistici, perché appunto studia la profondità della psiche di una collettività, prendendo in esame svariate discipline che vanno dall'Antropologia alla Geografia, dalla Letteratura alla Storia, dalla Scienza alla Sociologia e così via.
E' dunque una disciplina studiata maggiormente dai governativi e delle grandi burocrazie strategiche di ogni nazione quindi nelle cosiddette "alte sfere", perciò a noi queste analisi "geopolitiche" sembrano "illuminanti" e "affascinanti" oppure "ciniche", "antipatiche", "sconcertanti".
Eppure in molti Stati del mondo la si studia la "Geopolitica" con delle vere e proprie scuole "di governo", cosa che invece non accade in Italia in quanto restia "agli interessi nazionali" e alla sua "strategia", privilegiando l'aspetto economicistico "mitteleuropeo" (fare solo affari insomma).
Quello che sta facendo "Limes" dal 1993 (quando la Storia ha (ri)cominciato a (ri)mettersi in moto) è appunto quello di portare a "livello nazionale" il dibattito sulla Geopolitica al grande pubblico in Italia, perché appunto discutono di tematiche profondamente attuali che ci influenzano ogni giorno, infatti loro pubblicano mensilmente un "numero" (un volume da 250-300 pagine di solito) in cui svariati autori italiani e internazionali di qualsiasi disciplina di loro competenza discutono di un tema (o temi) contemporaneo di carattere geopolitico.
L'anno prossimo apriranno una loro scuola non accademica a Roma o Milano, non si sa ancora, proprio per informare e formare (gioco di parole) una potenziale classe dirigente italiana in grado di poter cogliere le complessità delle odierne e future sfide globali.
Se ti interessa approfondire queste tematiche secondo me molto affascinanti, ti linko un breve video di 10 minuti che "introduce" con "l'accetta" alla Geopolitica: https://youtu.be/bRFCXvg6iu8
Se vuoi approfondire maggiormente il tema, ti suggerisco quest'altro video: https://youtu.be/XWbD2EJzZtg
Per il sito ufficiale di Limes ecco il link: https://www.limesonline.com/
Per quanto riguarda la questione degli "Stati centrali" forse intendi quelli "dell'entroterra" tradizionalmente repubblicani che vanno dal Midwest fino al famoso "profondo sud"?
Perché se intendi tutta quell'area escludendo le famose "East Coast e "West Coast", il tuo ragionamento non fa una piega, e che si inserisce dolorosamente nelle divergenti visioni che ci sono all'interno degli stessi USA, infatti all'interno della stessa maggioranza "bianca" ci sono due visioni profondamente divergenti sulla questione dell'assimilazione che stanno letteralmente spaccando il paese come le violente rivolte popolari per il caso di "George Floyd".
Il dibattito infatti non è tanto sullo scontro "razziale" tra "minoranze" (che verranno sempre più discriminate) e i "bianchi", ma all'interno della stessa maggioranza "bianca", dove la preminenza dominante germanica si vuole imporre totalmente su quella "sudista", tradizionalmente a maggioranza britannica che era stata "pacificata" e "accettata" dopo la guerra di secessione americana, ma che oggi non può più coesistere in modo razzista e segregazionista con gli altri "bianchi" perché proprio in questi anni più che mai la maggioranza bianca deve "compattarsi" in un unico blocco in modo da poter accettare la completa assimilazione di ispanici, e diciamoci la verità, anche degli afroamericani nonostante la grande lotta per i loro diritti civili nei sanguinosi anni '60 e '70.
Quello che sta avvenendo negli USA è dunque una vera e propria sotto-guerra civile e culturale che riporta ferite risalenti alla guerra di secessione, dove "nord" e "sud" non si sono mai pacificati realmente, ma che hanno sottoscritto un compromesso di "coabitazione" necessario per compattare una nazione profondamente lacerata al suo interno (quella guerra ha fatto più morti americani che le due guerre mondiali messe assieme).
Il problema è che il "profondo sud" degli Stati Uniti rappresenta una grande fetta dell'esercito americano tant'è che molti omaggi, basi militari, statue, monumenti con nomi/personaggi confederati sono state oggetto di critica e nel caso dei monumenti/statue veri e propri abbattimenti da parte della popolazione bianca contraria a questo passato "oscuro" e da "dimenticare".
C'è infatti un numero molto interessante di Limes che ancora non ho letto che tratta proprio di questo e inoltre hanno dedicato addirittura un numero sul Texas, che come hai ben evidenziato tu, è letteralmente spaccato su che politica adottare con una popolazione ispanica sempre più crescente. Sono in pratica gli USA in miniatura, con un tempo ancora più stringente di quello della nazione intera.
L'obiettivo dei Repubblicani texani è appunto quello di conservare il loro "dogma" conservatore senza però che gli ispanici votino i Democratici. Le scelte da adottare per evitare ciò? Non sempre sono scontate e sicure, sicuramente dovranno adottare politiche di assimilazione efficaci. Il risultato non è mai scontato.
Gli USA come vedi vivono di queste contraddizioni e disfunzioni strutturali che poi rendono la popolazione frustrata, violenta e rancorosa, tra crisi economiche ed identitarie. Sicuramente l'imperativo strategico della nazione è quello di avere un'America multietnica ma monoculturale come tutti gli altri Stati imperiali su questa terra. Ma non sempre i singoli Stati della Federazione recepiscono incondizionatamente le direttive federali, tant'è che ogni Stato ha le proprie leggi.
La “guerra civile” è in atto negli USA proprio in questo momento, non tanto tra le minoranze e il canone bianco dominante, ma nella stessa maggioranza "bianca".
Biden dovrà ricompattare la nazione, dopo che Trump (nonostante sia di origini tedesche) si sia schierato apertamente soltanto da un lato della maggioranza bianca (ovvero quella britannica sudista). Non che l'oligarca newyorchese ci passerebbe volentieri una giornata nel profondo Sud del suo Paese, diciamocelo.
E niente, mi sono dilungato, come al solito, spero di averti risposto in modo esaustivo e chiaro obyone ;D
Ho in un pò la testa che fuma. Ah ah! Comunque sì intendevo gli Stati reazionari ex confederati del centro e sud degli USA.
Gli Stati Uniti è un postaccio giusto per fare una sintesi per i tuoi lettori.
:-D
Sì, scusami Roberto, troppe informazioni in un colpo solo che io ho invece assimilato dopo anni di letture. Per questo ti rimando ai link, che forse potrebbero chiarirti meglio le idee ;)
La sintesi è perfetta, noi europei possiamo goderci un welfare state che gli americani manco si sognano. Questo grazie alla nostra condizione economicistica tipico delle province "imperiali" dopo più di 70 anni di pace e benessere. Ma non è detto che tutto ciò rimanga così ovviamente in futuro.
Grazie mille Roberto per la tua pazienza e spero di rivederti con la prossima recensione che sarà meno geopolitica e più cinematografica ;)
Dimenticavo. Vista la tua propensione a questa machiavellica scienza ti consiglio "Waiting for the Barbarians" di Ciro Guerra che a me ha entusiasmato poco ma a te dovrebbe piacere per l'argomento.
Ciao! Roberto
Grazie mille per la lettura Roberto! Ci guarderò ;)
@obyone -"scienza" è una parola grossa.
Treccani: "non si tratta... né di una scienza né di una disciplina ben caratterizzata. Si tratta piuttosto, come nel caso della politica e della strategia, di un centro di attrazione e di catalizzazione di campi disciplinari diversi, aventi tutti un proprio spazio, più o meno ampio a seconda della loro natura; questi si sovrappongono e si compongono nello spazio considerato d'interesse per l'azione politica".
E ancora: "...spazi e tempi sono 'politici'. Non sono neutri o oggettivi. In sostanza, il cuore del problema epistemologico di una geopolitica che voglia costituire veramente un supporto per le decisioni politiche rimane quello che implicitamente era alla base in tutte le utilizzazioni della geografia politica del passato, deterministiche e non: l'ideologia.".
In ogni caso, penso che saperne molto sia meglio che poco o nulla, specie se da fonti diverse.
Allora chiamiamola "disciplina".
;-)
Concordo con @cherubino, tutt'ora non si ha una definizione precisa di Geopolitica in quanto "disciplina" in costante mutamento nei decenni e diversamente interpretabile da qualsiasi soggetto geopolitico. Confermo inoltre che la Geopolitica si serve di numerose discipline come la politica per determinare le proprie azioni e decisioni, tant'è che in ogni numero di Limes intervengono autori provenienti da svariate discipline, questo per dare diversi punti di vista e una visione a 360 gradi di un determinato dato/evento geopolitico.
Ribadisco inoltre che la Geopolitica contemporanea ha abbandonato l'uso della geografia politica e del determinismo geografico già da molto tempo, focalizzandosi maggiormente sul fattore umano.
@CineNihlist - Quel che non mi convince è che scrivi tanto ma non trovo mai dei "forse", un po' di condizionale al posto dell'indicativo, insomma dei dubbi. In definitiva esprimi sempre solo un tuo parere (e forse anche di Caracciolo; e potreste pure aver ragione, ma non mi sembra così scontato) quando scrivi nella tua recensione, per esempio, della politica immigratoria di assimilazione (USA) " per mantenere giovane e violenta la nazione in modo da mandarla sempre in guerra e mantenere il canone 'bianco' dominante nel paese".
"Speremo de no" (lasciami almeno il margine del dubbio).
Ciao.
F.
La Geopolitica è una "disciplina" antipatica per eccellenza in quanto spietata nell'analizzare dati oggettivi alla mano che obbligano determinati soggetti geopolitici ad operare nel contesto globale, quindi i "forse" solitamente variano a seconda della propaganda e della narrazione che ogni nazione si vuole dare, per questo la Geopolitica punta a studiare la struttura e le cogenze di una collettività al di là delle interpretazioni politologiche ed economicistiche che si danno del mondo che ci circonda, che spesso sono maldestramente "temporanee", "soggettive" e "limitanti".
Questo sicuramente può spaventare chi non è abituato a certe analisi "insolite" o "affascinanti" soprattutto in Italia in cui la stragrande maggioranza della popolazione è ancorata ad una percezione del mondo profondamente economicistica in cui i rapporti di forza tra gli Stati li si valutano ancora da un punto di vista meramente economico.
Questo anche perché siamo fedelmente ancorati nella sfera di influenza statunitense che alla fine della Seconda Guerra Mondiale ha privato agli Stati europei la gestione della propria "strategia" lasciandogli solo la "tattica" in capo economico e "parzialmente" militare, e tutto ciò è comprovato, oltre che dalla Storia, anche dalle migliaia di basi e militari americani presenti nel nostro territorio (europeo e non). Consiglio per questo motivo di guardare attentamente anche le carte realizzate da Laura Canali, l'eccellente cartografa di Limes.
Dubito che il direttore di Limes "Caracciolo" sbagli nelle sue analisi insieme al suo numeroso team di esperti in quanto hanno studiato e studiano dati oggettivi alla mano da decenni ormai, poi sicuramente non sono portatori di una verità assoluta (tant'è che in ogni numero invitano autori stranieri ad intervenire portando il loro punto di vista, tant'è che realizzano annualmente un festival di Limes internazionale a Genova in cui invitano "geopolitici" di tutto il mondo e non solo) e in passato di sicuro qualche loro analisi non è stata azzeccata (soprattutto sulle previsioni di eventi a breve termine), ma generalmente io stesso riflettendo ed ascoltando i loro interventi anche su siti ufficiali ed autorevoli come quelli di Repubblica, riscontro parecchio nella realtà le loro autorevoli analisi che partono innanzitutto da uno studio molto approfondito della Storia passata.
Per questo rimando ai vari link e magari a comprare anche i loro volumi, che di sicuro illumineranno le menti più curiose e dubbiose.
Di sicuro le loro analisi strutturali sull'America sono comprovate da innumerevoli dati oggettivi alla portata di tutti e rimando agli splendidi interventi di Dario Fabbri su queste tematiche "nordamericane", e se devo proprio dire un'altra verità senza un particolare "forse", si impara di più sul mondo guardando i loro appuntamenti settimanali su "Mappa Mundi" che guardando il TG tutte le sere (detto da uno che lo guarda ogni sera coi genitori).
Comunque cherubino ognuno ha la propria scuola di pensiero e crede a quel che vuole, ed essendo la mia una mia umile "opinione", cerco di dare più "certezze" e meno "dubbi" su ciò che voglio trasmettere agli altri, in modo che poi quest'ultimi possano controbattere alla solidità delle mie affermazioni con altrettanta convinzione come ha fatto Roberto (obyone).
Ti confesso che anch'io spero non sia così la situazione negli USA, ma come ci ha insegnato anche la Settima Arte (spesso anche viziandoci ed ingannandoci soprattutto la cara vecchia Hollywood essendo quest'ultima uno dei migliori soft power a stelle e strisce), il sogno americano non è altro che un incubo ad occhi aperti, e credo che "Sicario" abbia fatto un buon lavoro nel mostrare i lati più profondi e oscuri di una nazione che si professa "la più grande e migliore democrazia del mondo".
Niente di più falso in questa affermazione, anche perché una società imperiale non può essere completamente democratica in quanto soffocata dalle sue stesse ingiustizie (negli States si vota di martedì, proprio per avere la minor affluenza possibile alle urne, la politica conta relativamente poco nella società americana al di là della meticolosa messa in scena delle varie campagne elettorali, tant'è che la controversia dei conteggi dei voti evidenzia la profonda disfunzione di un sistema elettorale che quasi mai ha cambiato nel corso della storia degli USA).
E non parlo solo degli Stati Uniti, che non vivono di economia, ma di "gloria", "primato" e "prestigio" insieme a Russia, Iran, Turchia e Cina, valori a noi europei anacronistici ma invece molto attuali in certe latitudini in primis nella stessa "democratica" America. Non che li condivida ovviamente, anzi, ed è anche per questo che si vive meglio in Europa che nel resto del mondo.
Certezze, dunque (come quella che "negli States si vota di martedì, proprio per avere la minor affluenza possibile alle urne"?; ma se votano anche per posta...). Io ho di sicuro più dubbi che certezze, parlo in generale s'intende...
Ciao.
Votano anche per posta ma sono una discreta minoranza solitamente da quelli che vanno alle urne a votare, soltanto quest’anno per via del covid c’è stato un “boom” dei voti per posta, che guarda a caso sono stati “bollati” come illegali da Trump creando non pochi problemi nel conteggio finale nei singoli stati. Poi la storia americana è stata caratterizzata da sempre da brogli elettorali (vedesi il caso Lyndon B. Johnson). Inoltre ti sembra normale votare di martedì quando tutti sono a lavorare e dunque impossibilitati a recarsi alle urne rispetto a noi europei che invece votiamo nel weekend proprio per dare a tutti la possibilità di recarsi alle urne per votare? Poi dati alla mano, gli Stati Uniti hanno uno dei più bassi tassi di affluenza alle urne rispetto alle altre democrazie “occidentali”. Quest’anno è stato un caso del tutto eccezionale per svariate ragioni che noi tutti sappiamo purtroppo.
Comunque capisco il tuo stato, anch’io ho più dubbi che certezze nella vita, ma di sicuro la geopolitica per quanto imperfetta, personalmente mi fornisce analisi sulla realtà estremamente valide e piuttosto illuminanti dandomi la giusta lente d’ingrandimento per inquadrare al meglio la realtà che mi circonda.
Un caro saluto cherubino e alla prossima recensione ;)
Gran bel film ( la mia valutazione collima con la tua Giorgio), ma oserei ritenere questa probabilmente la migliore delle tue seppur eccellenti performance. E non da meno la serie di interessanti commenti in calce a sottile focalizzazione geopolitica del contesto.
Un caro saluto.
Concordo con te Paolo. In questo caso, poi, le attitudini del @Cine "oltrepassano i confini". Bravo!
Paolo mi sento lusingato, grazie tantissime, spero davvero di esserti stato utile ad inquadrare meglio la situazione degenerativa di quelle terre di frontiera americane, ma non preoccuparti, il mio viaggio nell'America profonda è appena iniziato ;)
Ringrazio nuovamente Roberto per il suo ottimo contributo in questa area commenti che mi scalda davvero il cuore, spero di aver "aperto" un piccolo mondo a tutti quanti :-)
Puoi esserne certo Giorgio. Un ciao a te e a Roberto.
Un forte abbraccio a tutti voi e alla prossima recensione "di frontiera" :D
Ne ho lette tante di recensioni. Le più banali commentano solo la trama, le più furbe si fermano ad analizzare solo alcuni aspetti tecnici senza dare una visione univoca, le più belle utilizzano un film per aprire ai lettori un mondo di riflessioni extratestuali che nemmeno credevano che quel film fosse in grado di suggerire. Che lectio magistralis, Giorgio!
Grazie mille per i bei complimenti caro Alvy, come vedi se ho l'occasione di collegarmi con argomenti "extra-filmici" lo faccio ben volentieri perché divulgare le mie passioni per me è fondamentale e spero sempre che i lettori ne escano arricchiti dalle mie recensioni!
Comunque io devo solo imparare dalla tua altra lectio magistralis su Scorsese e prendere appunti come uno scolaretto perché a confronto tu sei molto più informato e "studiato" su ciò che scrivi con grandissima passione. Ora che ho finalmente finito l'esame posso recuperarmi tutti gli scritti e le conversazioni perse su filmtv!
A presto carissimo ;)
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