Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
L'agente F.B.I. Kate Macer (Emily Blunt) viene, suo malgrado inserita in un'operazione relativa al narcotraffico in un territorio al confine tra USA e Messico, guidata dal misterioso Alejandro (Benicio Del Toro) e dal poco raccomandabile Matt Graver (Josh Brolin), consulente della Difesa: scoprirà che i confini tra buoni e cattivi sono molto labili.
Con 'Sicario' Il regista canadese Denis Villenueve realizza un tesissimo e cupo connubio tra generi action, poliziesco e gangsteristico, con protagonisti agenti ed 'avventurieri' disposti a tutto, anche, e soprattutto, ad utilizzare mezzi e metodi poco o per nulla leciti per perseguire i loro tornaconti e vendette personali, che vanno oltre i compiti e le missioni loro assegnate, segnato da un pessimismo di fondo in più di un frangente sconcertante.
Il cinema di Villeneuve è fatto di tempi dilatati, a volte persin troppo, di dialoghi ridotti all'essenziale e di un uso straordinario del paesaggio, esaltato dalla fotografia, curata dal grande Roger Deakins, che alterna prevalentemente colori che vanno dal giallo al blu al grigio, con riprese tra le assolate lande desertiche al confine tra i due paesi, abbinate ad altre notturne con luci ad infrarossi che, per le modalità di inquadrature, con utilizzo della soggettiva, ricordano certi videogame.
Quattro attori in gran forma - Emily Blunt, Daniel Kaluuya, l'agente collega di Kate, Josh Brolin, Benicio Del Toro (il migliore), schematicamente divisi tra caratteri positivi e negativi - e tre sequenze da mandare a memoria: l'inizio che, da una tipica situazione da thriller poliziesco prende contorni che discendono nel macabro, con il ritrovamento dei corpi delle persone occultate nelle mura, per poi introdurre un colpo di scena; la sequenza, lunghissima - circa quindici minuti - del passaggio del confine, l'entrata e l'attraversamento di Juarez, il prelevamento di un narcotrafficante ed il viaggio a ritroso nella città, per poi rientrare negli States, culminato nella sparatoria finale, un vero capolavoro di messinscena, con campi lunghi, totali, riprese aeree, in alternanza a primi piani e dettagli degli attori coinvolti, dialoghi ridotti all'osso e una tensione insostenibile, con l'accompagnamento delle martellanti note di Johan Johannsson che fanno il resto: quella anzidetta, della ricerca notturna, illuminata dalle luci coloratissime di Deakins e costruita con soggettive ed oggettive.
Finale sconsolante, un pugno nello stomaco al sogno dell'America vista come il paese delle opportunità e, al di là del confine invece, il rumore sordo di un calcio dato a un pallone che si confonde con gli spari che echeggiano in lontananza.
Voto: 8.
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