Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Aggredita dagli eventi della storia, la filosofia del sogno americano è stata scalfita da una serie di rovesci che hanno rischiato di mettere in discussione i cardini stessi del suo pensiero. Da par suo e a fasi successive il cinema nazionale ha cavalcato l'onda della crisi, appropriandosene soprattutto quando si è trattato di adombrare una compartimentazione dello Stato organizzata su più livelli di conoscenza e di potere. E stato quindi ovvio che a farsene carico in sede di rappresentazione fosse proprio un genere come la crime story , naturalmente portato a occuparsi di ciò che si nasconde tra le pieghe del reale, e più di altri in grado di raccontare la vertigine di un'esistenza andata fuori controllo. Una tendenza che proprio in questa stagione ha raggiunto il punto di non ritorno, con l'uscita sugli schermi di "Citizen Four", il film di Laura Poltras, in grado di dimostrare quanto poco ci sia da aggiungere in termini di finzione alla pura documentazione dei fatti, capaci in una vicenda come quella legata a Edward Snowden, di rivaleggiare per tensione e colpi di scena con i migliori capolavori del genere in questione. Questo per dire quanto fosse difficile dopo quel precedente, raccontare una storia come quella di "Sicario", che, nel narrare le vicende di un gruppo di agenti governativi, impegnati a contrastare l'operato dei cartelli del narcotraffico messicano, doveva di fatto mostrarsi, sotto il profilo della credibilità, all'altezza di ricreare la liminalità del male che fa parte di chi, come i protagonisti del film, sono chiamati ogni giorno a combatterlo. Non è dunque un caso se la sceneggiatura, a fronte del leviatano investigativo messo in piedi da Matt Graver (un grande Josh Brolin) e da Aleandro (Benicio Del Toro), operatori non meglio identificati del governo americano, decisi con ogni mezzo a scovare il boss di turno, e quindi di tutto quel corredo di armi, di violenza e di cinismo che generalmente si accompagna a questo tipo di imprese, ometta (ad esclusione dei minuti finali), di dare visibilità ai loro antagonisti. Perchè, nonostante "Sicario" presenti nel corso della sua vicenda momenti di pura tensione, come pure una serie di incursioni cinetiche fatte di sparatorie, inseguimenti ed altro ancora, l'interesse del regista si sofferma soprattutto su quello che succede nell'animo dei protagonisti e in particolare di Kate (Emily Blunt), agente idealista e rispettosa della legge che sceglie di supportare le azioni della task force guidata da Graver e Aleandro.
Così, accanto alla dimensione tipica dell'investigazione criminale, costituita dalle procedure per ingaggiare il nemico invisibile, "Sicario" si sposta dapprima, in maniera impercettibile, e poi in modo più netto, verso una rappresentazione sempre meno oggettiva e costruita a livello visivo sullo stato d'animo di Kate, chiamata a rappresentare l'anello di congiunzione che divide il bene dal male. A salire in cattedra, sono di conseguenza le psicologie dei protagonisti e il senso d'afflizione che da quelle si riversa sul film attraverso passaggi di pura astrazione; come di fatto risultano la combinazione tra le inquietanti panoramiche del territorio messicano, ripreso con l'evidente intento di sottolineare il senso di smarrimento di Kate, assorbita dai dettagli di un viaggio che la separerà definitivamente dalle antiche certezze; e successivamente, poco prima dell'epilogo, la sequenza dell'operazione notturna all'interno di un tunnel scavato nella roccia, in cui l'estraneità del paesaggio umano e geografico, così come risulta dalle telecamere dei visori notturni utilizzati dagli operatori, non è solo il modo per tradurre l'emotività della donna rispetto all'ignoto che gli si sta rivelando ma anche, attraverso l'alterità dell'ambiente, la distanza fisica e morale che separa Kate dalla mancanza di morale dei suoi compagni di viaggio. Procedendo in un straordinario (per cambiamento e risultati) percorso di metamorfosi registica, Villeneuve riparte da dove si era fermato e quindi da "Prisoners", replicato fin dall'inizio sia nella scena girata nella casa degli orrori dove, come nel lavoro precedente, ritroviamo una segregazione coatta, sia nella presenza di una sorta di botola, qui come allora disegnata con le vestigia di uno strumento di morte. Di quel precedente lavoro, ingiustamente sottovaluto, "Sicario" rappresenta l'ulteriore messa a fuoco di uno sguardo che non si è fatto svalutare dai condizionamenti delle produzioni hollywoodiane.
Pur pagando qualcosa sotto il profilo delle meccaniche del racconto, deboli in alcuni snodi della narrazione - tra tutte, la presenza del collega di Kate, escluso dalla squadra e poi rimesso in gioco con spiegazioni risibile e poi l'incertezza delle motivazioni che spingono la protagonista a rimanere in pista nonostante l'evidenza della mala parata - Sicario è una storia di "fantasmi" che ha il budget di film indipendente e la forma di un prodotto blockbuster. Del primo, ha il coraggio di mostrare il tributo di sangue pagato alle sicurezze della democrazia americana; del secondo, il carisma degli attori e il senso dello spettacolo. In concorso all'ultima edizione del festival di Cannes in cui è passato con somma indifferenza, "Sicario" è il film di un grande regista.
(ondacinema.it)
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