Regia di Jocelyn Moorhouse vedi scheda film
TFF 33 Festa Mobile
Mancava alla regia da diciotto anni Jocely Moorhouse (Segreti, 1998) e in fondo non se ne sentiva più di tanto la mancanza, dato che, a parte il suo esordio (Istantanee, 1991), non aveva offerto prove particolarmente significative.
Ed invece, ecco la lieta sorpresa che non ti aspetti, anticipata da un ottimo successo di pubblico nella natia Australia (due settimane da numero uno, la terza spodestato solo da Spectre) e forte della garanzia del fatto che avere Kate Winslet sia un autentico dono.
Per inciso, i meriti vanno ben oltre.
Dopo tanti anni, Tilly (Kate Winslet) fa ritorno a Dungatar in Australia, un paesino che era stata costretta ad abbandonare molti anni prima.
Il suo arrivo genera un terremoto tra la gente del posto, un passato irremovibile torna con forza in rilievo e i suoi modi da modaiola trovano dei sostenitori, come lo sceriffo locale (Hugo Weaving), ma anche un diffuso ostracismo, contro il quale dovrà combattere facendo uso di tutte le sue forze.
La situazione non può che degenerare (e degenerà).
Tutto parte da un ritorno nella sonnecchiosa provincia che guarda tutto di traverso e con il (pre)giudizio facile, un innesto fuori dal coro che smuove le acque rendendole tempestose, tra grami ricordi, destinati ad accrescersi gradatamente, e un presente che si accende in ogni direzione, tra una rivoluzione dei costumi, a partire dalla figura della donna stessa, un rapporto folkloristico tra madre e figlia, le sfide per conquistare l’autorevolezza e poi l’amore che deve abbattere un’idea arcaica delle maledizioni e che porta con sé gioie e dolori.
Con sicurezza, Jocelyn Moorhouse avanza perennemente in bilico tra i generi, passando dalla commedia più esilerante che si possa immaginare, con battute a ripetizione, a un dramma di anima e cuore, con anche excursus più forti, ma inseriti con sapienza, e una buona fetta di clima western, tra un paesino che ricorda in tutto il vecchio West, musiche che fanno altrettanto e ripetuti primi piani segnati da un’aria di sfida.
Impossibile non sottolineare gli strepitosi i costumi, candidatura agli Oscar praticamente scontata, seguiti a ruota da un cast sugli scudi e una sceneggiatura che pesca su fronti diversificati con improvvise sterzate che regalano sempre qualcosa di più, fino ad arrivare a un finale incendiario, tra pulp e grottesco, con la spazzatura, a Dungatar ce ne è parecchia, che aiuta.
Ottima l’interpretazione di Kate Winslet, capace di giostrare tra eleganza, sicurezza, lacrime e aggressività, ma anche Judy Davis lascia il segno grazie a un personaggio al quale regala un’acuta e acida ironia e uno sguardo attivo, in più la verve più sperticata giunge da Hugo Weaving che, memore della Priscilla che fu, trasforma il ruolo macho del tutore della legge in un gaio amante di Dior, paillettes e lustrini.
Insomma, le qualità abbondano, The dressmaker, nemmeno cito il furbetto sottotitolo italiano, è capace di trascinare, di far ridere a perdifiato e dopo pochi minuti lanciarsi da tutt’altra parte, utilizzando archetipi sicuri, mescolati nel migliore dei modi, fornendo in ultimo la migliore delle pietanze.
Da mettere in agenda (in attesa dell’uscita, probabilmente fine aprile 2016), spendibile per tutti i tipi di palati.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta