Regia di Levan Gabriadze vedi scheda film
Non c'è niente di peggio di spacciare per nuova un'idea già utilizzata. Non basterebbero solo le infinite sperimentazioni (prese troppo poco sul serio) dei tre film V/H/S, realizzati da collettivi di registi (dall'uno al tre sempre più belli e interessanti), ma c'è anche lo sconosciuto The Den di Zachary Donohue, mai giunto sui nostri grandi schermi (così come i V/H/S), che Unfriended scopiazza in lungo e in largo. The Den sì che aveva un'idea geniale, condotta con una gestione della tensione che faceva propria la tentazione voyeur del nostro cyberpresente tutto computerizzato, che trasfigura e smaterializza le relazioni umane. Levan Gabriadze, che The Den di certo l'ha visto, sta solo avendo più fortuna in termini di diffusione del suo lavoretto poco interessante. Imperniato sull'unità di tempo e di luogo (virtuale, sottile come un cristallo liquido), e interessato a rivedere con sguardo nuovo la gioventù del III millennio tutta Mac e iPhone (obbiettivo a dire il vero abbastanza scontato), il regista georgiano aspira a creare una tensione sottile e fatta di piccoli grandi shock che di volta in volta colpiscono lo spettatore a dire il vero sempre allo stesso modo, con invito (non troppo frequente) allo jump scare accompagnato da una buona dose di violenza (che spesso fa più ridere che impaurire). Unfriended è la testimonianza visiva, in tempo reale, di una mattanza generazionale, ma sebbene sembri lanciare critiche non troppo velate a gioventù con cui è impossibile empatizzare, allo stesso tempo ne segue compiaciuto la superficialità non facendo altro che ammiccare allo spettatore con tutti quei riferimenti neanche troppo nascosti ai social network e ai mezzi di comunicazione (svettano su tutti Skype, Facebook, Gmail, YouTube, Spotify). Costruire una storia di presunta crudeltà su piccoli tradimenti e su frivolezze solo un po' più esagerate del solito (Nickname: Enigmista docet) non riesce a lasciare inquietudine in uno spettatore coccolato dallo stereotipo e dalle più grosse ovvietà. In effetti il più grande difetto di Unfriended è lo stesso del pessimo The Hole di Nick Zamm: come pensare che una storia sia interessante con personaggi così poco interessanti?
Se la risposta in The Hole era dubbia, qui è lampante: si propone un'idea presunta nuova, e si pensa che quella possa salvare l'intero film (Claudio Bartolini parla addirittura di "idea scardinante"). Ma anche se fosse nuova, e se anche non ci fossero The Den e l'episodio non dimenticato del brutto primo capitolo di V/H/S (però certo da rivalutare), non si può pretendere di tirare un'ora e venti in modo talmente sciatto e scontato. Nonostante il film non si possa dire che annoi, la tensione è portata avanti con un dilettantismo che sotterra qualsiasi tentativo di riflessione più interessante, che riguardi il continuo showing off dei segreti dei protagonisti (ma anche delle loro stupidità, delle loro abitudini, delle loro quotidianità). Diversamente da The Den (che è anche molto più movimentato) la piattezza dello schermo del computer in Unfriended non asfissia, non angoscia, resta troppo distante. Non ci ricorda le nostre vite, non ci inserisce in quelle di altri, si porta avanti con sconfortante inerzia. Fino al finale ridicolo.
E non appare neanche nuova l'idea che l'"ospite misterioso", che appare nella chat comune dei sei teenager protagonisti, riesca a ucciderli uno alla volta facendo in modo che sia ognuno responsabile della morte dell'altro.
Forse per giudicare un horror non si dovrebbe guardare all'originalità (è una triste realtà delle recenti produzioni orrorifiche), ma è bene sempre stare all'erta dalle finte nuove idee. Per il resto Unfriended può interessare agli adoratori degli horror meno impegnati e più stupidotti, giusto per staccare l'encefalogramma. Ma di originalità non ce n'è neanche una briciola.
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