Regia di Levan Gabriadze vedi scheda film
Horror, territorio di genere da sempre ricettivo agli stimoli del contesto, fronte teorico aperto e sperimentale, in cerca di quelle crepe mediante le quali insinuarsi nei tessuti del mondo, per metterli a nudo e portarli alla luce. Il georgiano Gabriadze ha un’idea scardinante, capace di illuminare un copione (di Nelson Greaves) intriso di stanchi stereotipi collegial-orrorifici e vendette post mortem condotte da una teenager, suicidatasi un anno prima a causa di un video imbarazzante girato e diffuso in rete da qualche amico bullo. L’idea è di girare l’intero Unfriended avendo come unico schermo disponibile quello del computer di Blaire, attraverso cui collegare la protagonista al gruppo di amici destinati a subire lo stalking (e la vendetta) della defunta Laura che, come un virus, si insinua nella rete. In perenne connessione Skype (chi si scollega, muore), i ragazzi cercano le radici del terrore attraverso chat private, pagine e contatti Facebook, video virali su YouTube. Il mondo (reale e, di conseguenza, cinematografico) è chiuso in quella cornice di iperbolica virtualità, svincolato da ogni appiglio a un fuori, un dopo, un oltre. Il nostro presente è dato dall’interazione con (i protagonisti) e dall’osservazione di (il pubblico) ciò che succede lì dentro. Sotto l’egida produttiva di Timur Bekmambetov, Gabriadze riflette sul dispositivo filmico (ed extrafilmico) con consapevole coscienza contemporanea: a fare paura, oggi, è proprio quella cornice.
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