Regia di Simon Stone vedi scheda film
Talvolta il melodramma eccessivo, esagerato, fuorviante, (disonesto?) funziona. Funziona perché c'è una regia, c'è una complessa costruzione dei personaggi e delle ambientazioni, c'è la consapevolezza che non tutto avviene in funzione di quella tragedia, e che quella tragedia arriva in maniera quasi necessaria a concludere una vicenda di evanescenti sotterranee disperazioni. E' vero, sembra che certo cinema voglia a tutti i costi oggettivizzare il dramma interiore dell'essere umano in fatti o fatterelli particolarmente eccessivi che lo rendano, magari, anche più immediatamente comprensibile allo spettatore. Ma è l'abitudine a questo tipo di cinema insincero, falso, che rischia di proibire a priori la realizzazione di film come The Daughter, in cui la costruzione della tristezza è ottenuta in maniera essenzialmente, puramente e unicamente cinematografica, con un utilizzo davvero d'eccezione delle capacità degli interpreti (il cast è eccezionale).
L'arrivo di Christian in un piccolo paese della provincia australiana sconvolge lentamente gli equilibri finalmente raggiunti da due famiglie, quella di Christian che si vede composta dal padre Henry (Geoffry Rush odiosissimo) e dalla loro governante trentenne Anna che Henry sta per sposare, e la famiglia del migliore amico di Christian, Oliver, sua moglie Charlotte e la figlia Hedvig (la splendida Odessa Young). L'ondata di verità che Christian porta in quella che era la sua vecchia casa è dettata dalla quieta disperazione in cui egli versa: in fase di riabilitazione dalla dipendenza da alcol, è malinconico perché distante dalla sua fidanzata, Grace, che fa fatica a raggiungerlo.Già il solo fatto di ricordare il nome di ogni singolo personaggio non appena concluso il film - e i personaggi importanti sono almeno sette - è segno che qualcosa funziona in questa tragedia moderna tratta liberamente da alcune figure dell'ibseniana Anatra selvatica - che, per chi la conosce, anticipa il destino di un personaggio del film. Infatti Simon Stone, esordiente dalla mano pesante, cerca tutti i modi per trascinare il disagio di questo microcosmo umano il più a lungo possibile per l'interezza del lungometraggio, gestendo saggiamente twist e rivelazioni. Tutto è avvenuto nel passato, in The Daughter, in un fuoricampo che è solo nella memoria dei personaggi (fortuna vuola che non si utilizzino flashback), e quello che vediamo in scena è solo l'accumulo delle conseguenze di un gesto che, pur nella sua relativa piccolezza, sta comportando la fine di molte cose.
La cinepresa di Simon Stone è ipercinetica e corporale, trova lampi di lirismo un po' troppo enfatizzati dalla musica in rare sequenze in cui il sole ponente illumina la giovane Hedvig che gioca con la sua anatra ferita o in certi campi lunghi in cui è il paesaggio a trionfare. Per il resto, per la maggior parte del lungometraggio, la mdp tallona i personaggi osservandoli raramente da un punto di vista frontale, ma restando sempre di profilo, come defilato. Il momento della rivelazione, in cui alcuni tasselli si rimettono a posto sia per uno dei personaggi - inconsapevole della verità - sia per lo spettatore, è una scena molto forte ma formalmente essenziale, in cui per qualche secondo seguiamo un personaggio di spalle nel tragitto verso il colpevole di turno che riceverà un forte pugno in faccia. Questa come altre scene rivelano come il lento crollo del fragile castello di carte che era la vita dei protagonisti è una perdita del controllo anche dello sguardo del regista, che va lentamente svuotando i luoghi intorno ai personaggi (il pianto finale in ospedale).
E' però soprattutto la prima parte a convincere. Stone riesce in un'impresa rara, quella di far affezionare ai personaggi, a farli sentire vicini allo spettatore pur nelle loro insanabili imperfezioni. Finché il rimorso non li rende tutti in qualche modo colpevoli, e si accumula così tanta sincera mestizia che non si può fare a meno di trovare tutto il film, con costruzione scenica annessa, particolarmente onesto. Un film raro, dunque, che non consola né rinfranca, ma lascia con un vuoto, reso possibile dal punto di vista spettacolare dall'interruzione improvvisa del finale, che non ci dice cosa effettivamente succederà. Un film di fantasmi.
Fuori concorso e film di chiusura delle Giornate degli Autori a Venezia 72.
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