Regia di Michael Madsen (II) vedi scheda film
Per la serie «cosa succederebbe se», ecco The Visit di Michael Madsen. Che no, non è l’attore feticcio di Tarantino, ma un regista danese che in questo film torna alla formula sperimentata nel precedente Into Eternity. Qui la domanda è: «Come reagirebbero gli uomini in caso di contatto con una specie aliena?». Gli esperti rispondono, sguardo in macchina, come se la camera, e i nostri occhi, fossero l’alieno (Ben Kenigsberg su “Variety” suggerisce similitudini con Robinson in Ruins di Patrick Keiller, spostando per un attimo tutto il nostro interesse verso la questione: «Che fine ha fatto Patrick Keiller?»). Astronomi e giuristi, teologi e biologi, militari e politici si rapportano all’extraterrestre discorrendo di morale, di specifico umano, di comunicazione politica, di biochimiche in conflitto, ma il discorso passo passo s’incupisce, le ipotesi di confronto s’allontanano, e l’uomo resta solo, chiuso nel suo mondo, costretto nell’ossessione per il controllo, mosso dal conformismo, accecato dalla paura dell’ignoto. Come in ogni opera fantascientifica che si rispetti, le forme con cui ci raffiguriamo l’altro-da-noi ci riflettono. In formato Scope, tra scene che importano nel documentario l’estetica della catastrofe hollywoodiana e l’eleganza affettata di simboli coreografati su schermo nero, i quadri-interviste di The Visit sono tableau vivant sull’essere uomo. Un film di simulazione, che dice del reale: un trattatello antropologico in abito sci-fi.
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