FESTIVAL DEL FILM DI LOCARNO 2014 - RETROSPETTIVA TITANUS
Primo a sinistra Dario Argento alla presentazione del suo "L'uccello dalle piume di cristallo"
Meno male che al Festival di Locarno 2014 c'e' Dario! Di Argento stiamo parlando, naturalmente, e l'amico Port Cros ed io non riusciamo a rinunciare alla nostra prima visione al cinema del suo ancora innovativo e folgorante esordio alla regia datato 1970, col celeberrimo film cult L'Uccello dalle piume di cristallo, inserito in cartellone in relazione alla interessante retrospettiva che omaggia la Titanus.
Un giallo innovativo e precursore di uno stile, un film quasi quarantacinquenne che pare oggi più che mai fresco e giovane, moderno, molto architettato nei dettagli, sofisticato con i suoi multipli finali (una costante argentiana che impareremo ad aspettarci ogni volta), tipici di un thriller in grado di aprire o riaprire mode e tendenze che in effetti attirò dietro di sé da inizio anni '70.
L'odissea sadica e tesa, assurda ed improbabile, ma irresistibile che coglie un mediocre scrittore statunitense in bolletta, che cerca (e pare alla fine aver trovato) l'America in Italia, proprio a Roma, ci tuffa sadicamente in una vicenda noir concitata: una caccia, spietata e crudele, fine a sé stessa e maligna come quella tra gatto e topo, che occupa un abile e misterioso maniaco assassino e le sue vittime, tutte donne giovani ed avvenenti; ma pure del maniaco con il nostro protagonista, testimone oculare di un tentato truculento ulteriore omicidio ai danni di una avvenente gallerista romana, salvata in estremis da quest'ultimo.
Argento costruisce un complotto intricatissimo improbabile, ma avvincente, che alla fine quadra come un teorema, e lo fa sceneggiando una formula modernissima, complicata e costruita come un castello di carte che è necessario progettare dalla fine, sfidando la gravità e le leggi più elementari, per imbrigliare ed ingannare lo spettatore con il suo duplice finale necessario, furbo, che riesce anche a prendersi poco sul serio finendo quasi come una barzelletta ("e dire che mi dicevano che a Roma mi sarei annoiato!" è la frase ironica e divertente con cui si congeda Tony Musante).
Dario Argento, accolto con calore nella sala affollata del cinema Ex Rex (chissa' la ragione di quell'enfatico "ex") ci racconta la tormentata genesi del suo primo film da regista, non certo da sceneggiatore; dei dissidi improvvisi creatisi con l'amico Goffredo Lombardi, patron della Titanus con cui fino ad allora regnava una complicità quasi idilliaca. Del successo tardivo e ormai insperato che riscontrò la pellicola nelle piazze minori dopo un esordio deludente sia a Milano che a Roma. Fino ad un successo oltreoceano senza precedenti. Il regista romano si concentra sui visi contorti di soggetti quasi da circo tanto paiono bizzarri: sugli sguardi della follia, sulle smorfie suggerite dal terrore cieco e dalla consapevolezza della fine, su personaggi scientemente sopra le righe e manierati che sembrano creare solo divagazioni, ma che poi finiscono per costituire tasselli preziosi necessari a sbrogliare l'insanguinata matassa. Mario Adorf nel ruolo del pittore "mangiagatti" rappresenta l'esempio più validamente calzante ed uno dei ruoli cult indimenticabili di questo celebre film.
Il sangue schizza del suo rosso vermiglio esagerato, preparandoci e quasi anticipandoci i fiumi incontenibili di Profondo rosso. Questo che costituisce, oltre che il film d'esordio come regista da parte di Argento, anche il primo episodio della "trilogia animale", (seguirono Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio, un film quest'ultimo, che interrompe un ciclo e a cui Argento è molto legato perché in esso egli ha sperimentato più che in ogni altra successiva occasione), ottenuto finalmente il già citato successo di pubblico che inizialmente sembrava un miraggio (il film - ci ricorda Argento - divenne campione di incassi negli Usa per due settimane, cosa mai vista per un film italiano), divenne ancor più capostipite di uno stile che negli anni '70 trovo' seguaci ed emuli, non tutti adeguati e capaci di sostenere questi stili e ritmi, e discepoli illustri dagli '80 in avanti, nonche' cultori nelle nuove lodate e cinefile leve dagi '90 ad oggi, Tarantino in testa.
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