Regia di Jayro Bustamante vedi scheda film
Premiato alla Berlinale 2015 con l’Alfred Bauer, destinato a opere che «aprono nuove prospettive», l’esordio nel lungometraggio di Jayro Bustamante si muove idealmente sul crinale tra fiction e cinema del reale: nativo del Guatemala, il regista si è formato artisticamente tra Francia e Italia ed è tornato in patria con la macchina da presa puntata sulla natura e sui volti. Gli interpreti non professionisti appartengono alla minoranza etnica dei maya kaqchikel, legati alla terra come fonte di sostentamento (lavorano nelle coltivazioni di caffè) e come sovrana entità materna da rispettare. Di fronte alla maestosa enormità del vulcano che dà il titolo al film, sono poca cosa le miserie della famiglia di Maria, adolescente promessa in sposa a un uomo maturo e benestante, ma incinta di un coetaneo cui la lega, più che la passione, la speranza di fuggire verso il miraggio degli Stati Uniti. La madre tenta di arginare il disastro (economico, prima che famigliare) inducendo un aborto, ma il bimbo è destinato alla vita e Maria all’annientamento di sé. Lo sguardo di Bustamante resta quello di uno straniero in patria, minato dalla tentazione di esotismo, e si fa più ficcante e meno contemplativo quando si sposta dai paesaggi crudi e mistici delle pendici del vulcano verso gli uffici di una burocrazia letteralmente sorda ai bisogni dei contadini, che non conoscono la lingua della legge (lo spagnolo) e perdono nella traduzione i diritti e la dignità.
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