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È arrivata mia figlia

Regia di Anna Muylaert vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su È arrivata mia figlia

di laulilla
7 stelle

Premio del pubblico alla Berlinale del 2013 e Premio speciale della giuria al Sundance Film Festival. Non un capolavoro, ma un film adatto al primo maggio di quest’anno, in cui si finge di credere che i poveri siano pochi, marginali e che in fondo, se la siano cercata!

La regista Anna Muylaert racconta un Brasile al tempi del governo socialista (Lula e i suoi successori immediati) in cui la rapidissima espansione economica e l’impetuoso sviluppo della società stavano provocando scompiglio nelle famiglie più ricche.

Le sole donne che, nella nuova società brasiliana della competizione e del progresso, sembravano in grado di dare ai bambini l’affetto incondizionato di cui hanno bisogno per crescere, erano le tate, immigrate dal nord povero del paese, chiamate a rimpiazzare le madri vere, in carriera e dunque troppo indaffarate per poter badare ai loro piccoli.

Lo spostamento delle tate verso le grandi città, però, non era stato indolore: quelle donne avevano lasciato i propri bambini per occuparsi di quelli altrui, col proposito di farli studiare, garantendo loro un futuro meno povero, grazie alle “rimesse”.

 

Questo film ambientato a San Paulo, ci racconta che Val (Regina Case), la fedele tata che aveva allevato Fabinho (Michel Joelsas), accontentandosi della modestissima sistemazione nella stanza più piccola e malandata della grande casa padronale, era stata raggiunta dalla bella figlia Jessica (Camila Márdila) non più vista da dieci anni.
Era piccola, infatti, quando l’aveva lasciata per lavorare e farla studiare; ora sta per essere ammessa alla facoltà di Architettura.

Il suo arrivo sconvolge profondamente l’equilibrio dell’intera famiglia, perché le stesse cose che erano state imposte dai padroni di casa e accettate come del tutto naturali da Val sono incomprensibili alla giovane, intelligente e acculturata, per la quale non è affatto naturale che la bellissima e vuota stanza degli ospiti non possa servire a lei, costretta a dividere con la madre la stanzuccia in cui non ha spazio per studiare, né è naturale che non possa mangiare alla stessa tavola dei padroni, né che non possa servirsi del gelato di Fabinho, che è diverso da quello della servitù, né le pare giusto che le sia vietato, persino dalla madre, l’uso della piscina in quella casa lussuosa.



 

 

 

 

Jessica, rivendicando il diritto a essere accolta con l’amicizia e con la civiltà dovuta agli ospiti, difende non solo la propria dignità, ma anche quella di Val, da troppo tempo schiacciata e umiliata dai suoi ricchi padroni, aperti, progressisti, nonché (chi l’avrebbe mai detto?) democratici.

Questo piccolo film è quasi un apologo: la regista Anna Muylaert, che – raccontando con grazia e leggerezza alcune verità sui rapporti di classe che da tempo sembravano poco importanti nell’ interclassista corsa al benessere – ci ricorda che l’ingiustizia non nasce dalla natura; che le classi sociali sopravvivono anche al crollo delle ideologie; che senza il duro lavoro degli immigrati le società affluenti non potrebbero sopravvivere; che lo sfruttamento del lavoro è ingiusto e inaccettabile, e infine, che il conflitto fra le classi è necessario per riportare un po’ di giustizia fra gli uomini.

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