Regia di Josh Mond vedi scheda film
Nel nostro taccuino figurava tra i film più attesi del concorso. Sulla carta infatti, il percorso al contrario dell'inquieto protagonista, un giovane newyorkese, costretto dalla malattia della madre a prendersi le proprie responsabilità e a interrompere un'esistenza di cupio dissolvi, costituiva di per se motivo di sicuro interesse. D'altronde è dagli anni ottanta, e a partire dai romanzi dei cosiddetti scrittori minimalisti, che la dissoluzione della famiglia americana viene sublimata dalla costante presenza della sofferenza fisica e psicologica. Queste ultime, entrambe presenti in "James White", tanto nel malessere esistenziale del protagonista, derivato dal mancato confronto con il genitore appena defunto, quanto nell'aggiornamento del quadro clinico relativo alla madre del protagonista.
Detto che la regia di Josh Mond, con i primi piani al microscopio, gli sfondi fuori fuoco e la fenomenologia del quotidiano, è di quelle che si sposano in pieno con il modello di cinema indipendente promosso dal festival di Robert Redford, dobbiamo dire che la principale debolezza di "James White" è quella di credere che il travaglio emotivo e la disperazione che i protagonisti riversano sullo schermo sia in grado, da sola, di fare la storia del film che, al contrario, privato di un vero e proprio impianto narrativo, rimane a metà strada tra referto medico e romanzo di formazione. In un simile contesto la bontà della performance di Christopher Abbott è in parte sprecata.
(pubblicato su ondacinema.it/speciale 68 festival di Locarno)
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