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L'abisso

Regia di Urban Gad vedi scheda film

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La recensione su L'abisso

di casomai
10 stelle

Un'opera fondamentale nella storia del cinema, perché mostra per la prima volta come un lungometraggio poteva essere piegato a secondare le qualità drammatiche di un'attrice. La capacità di immedesimazione di Asta Nielsen ha del miracoloso, e sì che era appena il suo primo film.

La prima inquadratura di Asta Nielsen nelle versioni più lunghe de L'abisso (Afgrunden, 1910,) ce la mostra di tre quarti. Ma è un attimo. Subito si volta, dando le spalle allo spettatore. Abitino leggero a frange e cappello piumato, spalle leggermente incurvate, ciondola lentamente verso il fondo della scena in una Copenaghen assolata. Dopo qualche passo si ferma e fa un lieve cenno a un tram ancora in movimento. È davanti a noi, finalmente. Lo sguardo assente, il viso anonimo. Sale con nonchalance sul predellino, si guarda attorno con indolenza non priva peraltro di sicurezza. A guardarla oggi senza conoscere la sua straordinaria carriera successiva, la si prenderebbe per una figurante qualunque. Questo l'esordio della Nielsen, discreto ma rivelatore, anzi rivelatore proprio perché discreto.

 

 

Il fatto è che Asta Nielsen non ha fretta. Asta Nielsen non spreca subito la sua forza d'interprete passando di scena madre in scena madre. Serba tale capacità per le sequenza successive, in un crescendo recitativo molto consapevole, e aspetta prima di sparare le sue cartucce.

Fino a quel momento gli attori avevano messo le proprie capacità al servizio di trame e vicende che valevano per ciò che raccontavano, non concepite apposta per loro. L'abisso è un film fondamentale nella storia del cinema, perché mostra per la prima volta come un lungometraggio poteva essere piegato a secondare le qualità drammatiche di un'attrice. È cio che avverrà di lì a poco con i film costruiti intorno a certe caratteristiche fisiche o psicologiche delle dive italiane degli anni '10 (il crepuscolarismo della Borelli, la ferinità della Menichelli, l'assertività della Bertini), complice lo stretto rapporto tra attrici e registi o attrici e produttori. Tra Asta Nielsen e il regista Urban Gad, suo marito, nasce un rapporto di questo genere in cui la creatività del secondo è tutta tesa a far risaltare le capacità recitative della prima. Urban Gad diresse trentadue film con Asta Nielsen come protagonista e ne sceneggiò trenta. Il repertorio è dei più vari: dalle tragedie ai melodrammi, ai film polizieschi e di spionaggio, alle commedie, con Asta Nielsen in ruoli estremamente diversificati: una donna nubile, una povera madre, una gitana, la moglie di un architetto, una ballerina spagnola, una modella, un Amleto en travesti, una ragazzina diciottenne che finge di avere dodici anni (all'epoca la Nielsen ne aveva trentadue!) e così via. Nonostante un fisico atipico, androgino e in teoria poco camaleontico – volto pallido, grandi occhi neri, capelli corvini, labbra sottili, fianchi stretti – la capacità di immedesimazione della Nielsen ha del miracoloso. La manciata di film che ci restano mostrano che, senza esagerazione, è stata una delle più grandi attrici di tutti i tempi, capace di dosare la caratterizzazione psicologica dei propri personaggi anche all'interno dello stesso film. L'Abisso è un caso da manuale, senza peraltro essere l'unico. La giovane ingenua dei primi fotogrammi si trasforma verso metà film in ferina predatrice sessuale nella scena della danza del gaucho, censurata all'epoca, la cui torrida sensualità ancora oggi non lascia indifferenti. Una seconda metamorfosi interviene nel dramma finale. Qui, nonostante la concitazione degli eventi, la Nielsen – occhi profondamente bistrati per accentuare l'irrimediabile volgarità del personaggio, nerovestita, capelli increspati, una strana analogia con la Magnani di trent'anni dopo – offre un'interpretazione sorprendente per realismo. Presa per il collo, strattonata, buttata sul divano, semispogliata, afferrata per i capelli e trascinata per la stanza, senza che nella sua espressività si ravvisi alcunché di eccessivo. E altrettanto misurata è la scena finale, in cui viene trascinata via da un poliziotto. La Nielsen evita ogni accenno di teatralità e si limita a guardare davanti a sé, spossata, come sorpresa dalla piega che hanno preso gli eventi, ma forse finalmente salva. Gira la testa per incrociare fuggevolmente lo sguardo di un astante, e la gira di nuovo per andare incontro al suo destino. Tutto con maestria straordinaria, e sì che era appena il suo primo film.

 

 

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