Regia di Noah Baumbach vedi scheda film
Tracy (Lola Kirke) è una matricola con aspirazioni letterarie sperduta in un college di New York e proprio non riesce a inserirsi in circoli, feste o anche solo ad andare d'accordo con la compagna di stanza. L'unico amico che trova è Tony, un disadattato come lei, nerd, grassoccio e bruttacchiotto, ma quando entrambi sembrano provare qualcosa di più lui si trova una ragazza. La madre di Tracy le consiglia allora di prendere contatto con la figlia dell'uomo che sta per sposare: Brooke (Gerwig), stramba trentenne svaporata che parla un sacco e un po' a vanvera, fa mille cose sempre a modo suo ed è goffamente e meravigliosamente "personaggio". Tracy asseconda continuamente Brooke un po' per essere accettata, un po' perché ha un carattere meno forte e meno definito. Le due vanno d'accordo, se la spassano in giro per New York, e Tracy si accorge che Brooke è un racconto che si scrive praticamente da solo, quindi lo butta giù con accenti piuttosto impietosi (e ovviamente il racconto cadrà poi in mani sbagliate). Intanto il progetto di Brooke di aprire insieme al suo ragazzo un ristorante che sia anche "bodega" e negozio di parrucchiera, va in crisi insieme alla relazione col suddetto e Brooke ha pochi giorni per trovare un nuovo investitore. Un consiglio spiritico la porta quindi, insieme a Tracy, Tony e la sua gelosa ragazza, a bussare alla villa della sua ex migliore amica ora arcinemica Mamie-Claire, che ha fatto i soldi sfruttando una delle molte idee cadute di dosso a Brooke e perdipiú le ha rubato anche il ragazzo, diventato nel frattempo suo marito.
Per quanto ufficialmente risulti scritto sia da Baumbach che dalla protagonista nonché sua fidanzata Greta Gerwig, MISTRESS AMERICA ha più l'aspetto di un ringraziamento/riconoscimento da parte del regista alla sua stramba musa seriale. La Gerwig è infatti musa e ispirazione anche nel film e incorre nei problemi di chi è arte ma non sa sfruttare (e a volte neanche vedere) l'arte che ha in sè, e spesso semina genio e bellezza che altri meno vitali ma più attenti saccheggeranno senza chiedere il permesso. Inutile dire chi ne uscirà meglio tra chi crea semplicemente vivendo e chi le gravita attorno in attesa di raccogliere i frutti.
Non è il più rotondo dei film di Baumbach, ma le sue doti di scrittura, il ritmo e l'umorismo spiazzante sono come sempre una gran goduria. Altrove sicuramente il regista ha tratteggiato quadri più ampi e compiuti (IL CALAMARO E LA BALENA) o ha esplorato caratteri più difficili, scuri, e originali (GREENBERG), ma resta il fatto che in giro non ce ne sono molti come Baumbach capaci di riproporre (ed enfatizzare) la bellezza di persone che nel meccanismo americano di solito figurano come perdenti o eccentrici o "irrisolti". Tutta gente che non rientra nei canoni dicotomici di una società e di un cinema che ha occhi solo per gli spettacoli estremi e tipizzabili, siano essi estremamente positivi o estremamente negativi. In un qualche modo Baumbach ama invece chi si smarrisce lungo la strada e rimane a mezza via (senza raggiungere il successo ma senza neanche "fallire alla grande") perché sa che spesso quello che impedisce a molti di seguire percorsi standardizzati è un groviglio di componenti emotive e caratteriali contraddittorie e non proprio desiderabili, ma anche vere, uniche, divertenti e a volte sbalorditive come un'anomalia che diventa rarità. È uno spettacolo meno evidente ma è anch'esso uno spettacolo ed è soprattutto uno spettacolo fatto di materiale vivo e insolito che non tutti sono in grado di notare (e apprezzare) addosso agli altri.
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