Regia di Alberto Sordi vedi scheda film
Prima del voto sulla dichiarazione a procedere nei suoi confronti, Craxi interrogò l’emiciclo composto dai colleghi parlamentari in merito al sistema delle tangenti: inutile fare gli ipocriti o i moralisti, tutti sapevate e tutti partecipavate al sistema delle tangenti. Partendo quindi dal presupposto che tutti sanno, sapevano e sapranno come gira il mondo, Alberto Sordi anticipa di otto anni l’avvento della stagione di Mani Pulite, proponendo la vicenda di un giudice castigatore, un Di Pietro ante litteram, che si ficca in un guaio troppo grosso per protagonismo, rampantismo e carrierismo. Tutti dentro conferma la vocazione moralistica del cinema del regista Sordi, dichiaratamente più interessato all’aspetto contenutistico che a quello formale.
Il tema affrontato è quantomeno inconsueto per una commedia all’italiana ancorché di terza fascia, perlomeno nell’ambito di un decennio mediocre da un punto di vista cinematografico, e va dato atto al commediante Sordi di aver osato dove altri suoi colleghi coetanei non si sarebbero mai avventurati, almeno nel 1984. Il problema è di natura formale: molto semplicemente, Sordi non sa dirigere se stesso, non riesce a non gigioneggiare (e con quei capelli lunghi ed unti alla De Michelis non può non gigioneggiare), taglia con l’accetta ogni sequenza, ogni carattere, ogni movimento della macchina, non sa raggiungere un equilibrio. A differenza della maggior parte delle sue produzioni, Sordi sceglie un cast con qualche grosso nome (notoriamente risparmiava sul cast, sia per ragioni di divismo che per motivi economici), tra cui un incredibile Joe Pesci. Ma il film, per quanto curioso ed intrigante nei presupposti, è greve, pesante, vacuo.
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