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La mia vita da Zucchina

Regia di Claude Barras vedi scheda film

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La recensione su La mia vita da Zucchina

di obyone
8 stelle

 

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La mia vita da Zucchina (2016): scena

 

Rammento, quand'ero bambino, quando le bottiglie erano ancora di vetro e c'era meno plastica di adesso, la mia chiassosa collezione di lattine di cola, gassosa e aranciata. Ricordo che impilavo i barattoli uno sopra l'altro in un ardimentoso grattacielo o in una torre d'avorio inespugnabile. Più spesso le disponevo in orizzontale in modo da colpirle, con successo e soddisfazione, con una palla da tennis, come in quel gioco che nelle sagre paesane non mi faceva vincere un bel niente e mi lasciava le tasche vuote, tanto erano cementati nella plastilina quei maledetti barattoli di pomodoro. Questo nostalgico ricordo si appropria, fugacemente, dei miei pensieri quando il regista Claude Barras inquadra una gran quantità di lattine raccolte in mansarda, rifugio e luna park del piccolo "Zucchina". Ma è un piccolo frame. Quel castello e quelle mura di cinta crollano fragorosamente quando le dolci bevande gassate assumo i contorni reali delle lattine di birra da pochi soldi. Ce ne sono ovunque per la casa e sono l'emblema di tutto ciò che ha e non ha il piccolo protagonista della storia. Ha una madre sempre ubriaca e depressa. Non ha giochi, che i maleodoranti contenitori di alluminio sostituiscono nella sua fantasia di bambino. Non ha nemmeno un nome. Da che si ricordi, la madre, spiaggiata su un poltrona davanti al televisore, l'ha sempre chiamato Zucchina. Questo strano nomignolo è forse l'unica cosa che lo lega alla mamma che vorrebbe tanto amare, ma che non riesce ad avvicinare. Un padre non ce l'ha. È volato via per inseguire le sue pollastre, così le ha detto la donna. A suo ricordo gli è rimasto un aquilone che lo ritrae con un mantello spiegato e la tuta da Superman. Un incidente, poi, mette fine a quel po' di speranza nutrita dal bambino ed inizia una nuova vita...

 

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La mia vita da Zucchina (2016): scena

 

Per fortuna non c'è il mio di bambino nei paraggi. Questo "Vita da zucchina" ha un incipit dolorosissimo che a stento sopporto io stesso. Ma migliora col proseguo della storia scritta dall'eclettica regista e sceneggiatrice Céline Sciamma. Per Zucchina la svolta è la struttura in cui viene accompagnato da un poliziotto, un po' famiglia, un po' scuola. Eppure le premesse non erano state esaltanti, con qui funerei tronchi d'albero morto, piantati nel cortile, in netto contrasto con le chiome sempreverdi tutt'intorno alla casa. Sembrava un presagio, un invito al povero Zucchina a scappare da un luogo peggiore di casa sua, se mai potesse esistere un luogo peggiore.

Sciamma, che ha ridotto il libro omonimo di Gilles Paris si beve d'un fiato lo stereotipo dell'orfanotrofio e getta via la lattina vuota e accartocciata. Nonostante gli alberi rinsecchiti dall'inverno la struttura è un luogo accogliente in cui vivono altri bambini, altre infanzie slabbrate dai tagli di un passato doloroso: abbandoni, droga, suicidi, violenze domestiche, adulti irresponsabili. Ci mette un po' il piccolo protagonista a carburare lì dentro. Vanno in scena crisi e piccoli dispettucci ma alla fine Zucchina, complice l'arrivo di Camille e la discreta presenza degli adulti, esce dal proprio isolamento e si apre al gioco, alle amicizie, al sentimento.

 

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La mia vita da Zucchina (2016): scena

 

I bambolini dalle teste enormi come palloni e dagli occhi grandi come quelli dipinti da Margaret Keane, ma lividi e tristi, lasciano trapelare il dolore di una fanciullezza spezzata mentre il pudore ispira la scrittura di Céline Sciamma. Se le situazioni descritte sono drammatiche, i dialoghi intelligenti ed ironici donano un tocco di leggerezza al convivio di bambini abbandonati. Ma c'è anche la forza dirompente della realtà nell'adattamento di Sciamma. La favola vale solo a metà ed abbraccia le vite del piccolo protagonista e della sfortunata Camille abbandonata da una zia anafettiva e aprofittatrice. Per gli altri, come Simon, sottratto a genitori tossici, la vita continua tra lezioni in classe, pranzi comuni e gite in montagna in quella casa che è prigione e rifugio in egual modo. Per loro non c'è una famiglia ad accoglierli ma "solo" un ambiente dove crescere il più serenamente possibile in assenza di genitori e fratelli. La vita non è sempre perfetta nel mondo reale e il più grandicello del gruppo invita i due amici ad essere felici e ad andarsene per rispetto di chi non lo può fare.

"Ma vie de courgette" è un film intelligente e delicato. Comunica emozioni attraverso le malinconiche espressioni dei burattini mentre le penombre e i fasci di luce che irrompono tra le fronde degli alberi o dalle finestre lasciano spazio ai colori sgargianti della felicità e dei sentimenti che bucano i neri come l'incontenibile e leggiadra spensieratezza dei bimbi alle prese con un pupazzo di neve od un ballo di gruppo. I genitori e i figli sono un dono reciproco che supera ogni legame biologico. Ed una casa famiglia spesso supera le barriere legali e di sangue grazie all'altruismo di chi le gestisce. Barras e Sciamma ci lasciano questo messaggio mentre quelle lunghe e sproporzionate braccia, che quasi toccano terra, sembrano voler dire "stringimi forte ed io farò lo stesso con te". Alla fine si piange ed è una liberazione. Il blu livido intorno agli occhi si scioglie ed un abbraccio amico al piccoletto che dorme in camera ti fa assaporare ciò che hai e dimenticare ciò che non hai.

 

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La mia vita da Zucchina (2016): scena

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