Regia di Peter Marcias vedi scheda film
Abbiamo sempre molta simpatia per chi realizza cinema indipendente al di fuori dalle strade battute e commerciali, magari con un occhio rivolto al sociale. Così ci mettiamo di buon grado in macchina, macinando chilometri e benzina per vedere “La nostra quarantena”, pagando di buon grado il biglietto a prezzo pieno, carichi di aspettative e curiosità.
Che però si infrangono dopo i primi quindici minuti di film, in cui capiamo che, come tanto, troppo cinema indipendente nostrano, dietro la realizzazione di quest'opera (documentario? film? docufiction? ai posteri...) non esiste una vera idea di scrittura e tanto meno una sceneggiatura che possa reggere la durata di un lungometraggio.
Un fatto di cronaca è lo spunto iniziale: un gruppo di marittimi marocchini non riceve la paga da diversi mesi e durante una sosta a Cagliari entra in sciopero. La nave resta ormeggiata per mesi, in attesa che l'armatore si decida a pagare. La cittadinanza si attiva per aiutarli, loro lottano e soffrono di nostalgia. Lunghe e ripetitive interviste ai pur simpatici marittimi non fanno che ripeterci quello che abbiamo capito dopo cinque minuti.
Ma piuttosto che organizzare queste interviste in un vero percorso narrativo, gli autori hanno la brillante “trovata” di appiccicare una storia collaterale, lo studente di sociologia e la sua docente, che nulla aggiunge rendendo invece piuttosto indigeribile il mix “d'autore”: lo studente guarda pensieroso fuori dalla finestra - musica inquietante. Lo studente percorre pensieroso in bicicletta strade notturne - musica inquietante. Lo studente pensieroso va in metropolitana - musica inquietante. Lo studente pensieroso si arma di cinepresa Super8 anni '80 muta (sì, non stiamo scherzando!) per girare il suo reportage… E quando alla fine lo studente pensieroso si addormenta sulla spiaggia (quasi in contemporanea ai malcapitati spettatori) e viene risvegliato da due giovani suore inutilmente ilari, allora ci cadono davvero le braccia.
E ci pentiamo di aver tollerato fino a quel momento la sciatteria generale visiva e produttiva, dai sottotitoli con i verbi italiani sbagliati agli effetti di post-produzione amatoriali, dalle inquadrature esageratamente mosse dello pseudo-reportage alle inquadrature del mare sghembe anche se su cavalletto.
Ci pentiamo soprattutto di aver dato fiducia ancora una volta a un film indipendente italiano.
La prossima volta ci rifaremo con un blockbuster americano: in fondo il biglietto costa uguale.
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