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Bagnoli Jungle

Regia di Antonio Capuano vedi scheda film

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La recensione su Bagnoli Jungle

di Spaggy
9 stelle

Gli operai avranno il loro posto in paradiso. Con questa premessa, a inizio Novecento Bagnoli, quartiere napoletano al confine con la zona flegrea, vede le sue principali attività di sostentamento (pesca, agricoltura e allevamento) cedere il passo all’industrializzazione e alla nascita delle prime fabbriche, destinate a cambiare per sempre l’assetto geografico e sociale dell’area. A Bagnoli, infatti, sorge presto una delle sedi dell’Italsider, un impianto siderurgico che deforma con la sua presenza abitudini, mentalità e coscienza cittadine. Dismesso negli anni Novanta a causa di una direttiva europea secondo cui si produceva nel continente troppo acciaio, lo stabilimento di Bagnoli avrebbe dovuto essere un primo tempo riqualificato prima che nascesse la volontà di aprirlo nuovamente, gettando sconforto e attesa nei locali. Lo sconforto della chiusura di Bagnoli non è solo psicologico: a risentire della cessazione delle attività della fabbrica è soprattutto l’economia locale, che già gravata da mille altri fattori contingenti vede aumentare il suo tasso di disoccupazione. In ogni società, l’aumento del tasso di disoccupazione implica la nascita di ulteriori sconvolgimenti: la mancanza di lavoro genera mancanza di denaro, che a sua volta induce una catena di problemi spesso senza soluzione. Aumento della malavita, sfratti, mancanza di fiducia nelle istituzioni e nella politica (locale e nazionale), portano la cittadinanza a un livello di esasperazione tale da perdere ogni contatto con la realtà.

 

La lunga premessa è necessaria per capire il contesto in cui si muove Antonio Capuano in Bagnoli Jungle, una sorta di compendio sociologico su un quartiere napoletano lasciato a gestire in maniera autonoma i propri problemi. Ruotando intorno al fantasma dell’Italsider, Capuano propone tre differenti capitoli di vita quotidiana, raccontati attraverso tre personaggi appartenenti a generazioni diverse: Giggino, un uomo di mezza età; il padre ottantenne Antonio; e il ventenne garzone di minimarket Marco.

Giggino, un tempo operaio sposato, ha scelto di abbandonare moglie e figlio per andare a vivere in casa del burbero e tirchio padre Antonio, non disposto in alcun modo a provvedere alle sue esigenze. Antonio, mariuolo, trascorre le giornate a correre per le vie di Bagnoli (deve partecipare alle Olimpiadi, suggerisce un passante), a esibirsi in trattorie, a spendere i suoi ricavi nei blow job della prostituta Patrizia e a tirare di cocaina. Il padre Antonio, pensionato ottantenne, è detentore della storia di Diego Armando Maradona e delle imprese che il Pibe de Oro ha compiuto nei sette anni in cui ha indossato la maglia del Napoli calcio. Sovente riceve le visite di chi vuole conoscere gli aneddoti dell’ultima notte di Maradona sotto il Vesuvio e non lo allarma accogliere in casa un boss della camorra, armato di cotanta pistola. Ciò che interessa più ad Antonio è la badante Olena, una cameriera ucraina di mezza età che quotidianamente dietro compenso di 35 euro si occupa della sua abitazione. Come tutti gli smaliziati della sua generazione, Antonio ha in Olena l’oggetto dei suoi (ultimi) desideri sessuali e non si ferma di fronte a nulla, sperperando i risparmi della sua pensione, pur di portarsela a letto. Marco, invece, è un ventenne senza un futuro certo che lavora in un minimarket del quartiere come fattorino. Consegna la spesa ad Antonio così come al resto degli abitanti di Bagnoli, passando di casa in casa, di interno in interno: dalle abitazioni barocche a quelle più surreali, organizzate all’interno delle aule di una scuola occupate dalla disperazione dei più poveri. Marco ha preso parte da bambino a un film importante con Valeria Golino (La guerra di Mario), ha avuto un ruolo nella serie tv cult Gomorra e condivide i sogni artistici con Sonia, una ballerina di cui è affascinato e che lo introduce al mondo dei collettivi di origine comunista.

scena

Bagnoli Jungle (2015): scena

 

Coniugando documentario e fiction (ogni personaggio ha il nome reale dell’attore che lo interpreta), Capuano si dimostra capace di passare da momenti di cinema verità con attori presi dalla strada a costruzioni più elaborate in cui emerge tutta la sua poetica (la simmetria del prologo e della chiusura, ad esempio). Con un uso della telecamera che si adatta ai personaggi in questione: agitate, oniriche, statiche o bramose di verità, le immagini sposano i protagonisti e i luoghi in cui si muovono per cedere spesso il passo all’antropologia pura. Dall’Italsider alla processione pasquale, da un corteo del 1° maggio alle riprese di un videoclip neomelodico, da una sfida a colpi di rap napoletano all’interno di un biliardo alle strade deserte in cui battono le prostitute, Bagnoli vive sullo schermo con straordinaria lucidità oggettiva, priva di giudizi o condanne. Costruiti in modo da alternare le riprese, i tre personaggi, ultimi in preda alla solitudine e simbolo di un variegato spettro di disperazione sociale, si muovono ognuno in un ambiente ben distinto: le strade del lungomare appartengono a Giggino, il chiuso di un’abitazione ad Antonio e il centro vitale del quartiere a Marco. Niente, però, è lasciato al caso: la periferia simboleggia l’alienazione che Giggino, oramai senza futuro, ha scelto; la casa l’impossibilità di Antonio di sperare in un mondo diverso al di fuori della normalità delle mura; il centro la voglia di Marco di riscatto e di pensare a un futuro diverso da quello che i genitori hanno vissuto sulla pelle.

 

Interessante, infine, il discorso che Capuano, lontano da ogni regola di produzione del sistema cinematografico italiano, fa dell’arte, filmica e non. La parentesi delle "copie Disney” che generano una lunga e accesa discussione su un pianerottolo del casermone in cui Giggino vive, le immagini della telenovela Il segreto trasmesse da una trattoria, e i titoli dei dvd che lo stesso Giggino ruba da una delle auto in sosta, la dicono lunga sui gusti del pubblico nostrano, troppo distretto e poco avvezzo a saper scegliere o riconoscere la qualità artistica di un prodotto audiovisivo. Capuano non manca inoltre di criticare le condizioni in cui versa la nostra Italia, rappresentandola come una statua bianca che ormai vive accanto alla spazzatura. In tanta tragicomica serietà, però, sa anche prendersi in giro (e autocriticarsi) grazie al personaggio di Marco, interpretato dal giovane Marco Grieco, scelto da egli stesso nel 2005, appena bambino, come protagonista di La guerra di Mario e in seguito dimenticato.

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